venerdì 21 dicembre 2012

Un massaggio sonoro per Natale

Di massaggio sonoro al pianoforte ho parlato e scritto diverse volte.
Un modo meraviglioso per sperimentare la musica. Un'immersione totale nel mare delle vibrazioni sonore.
Può essere un bel regalo di Natale, per persone speciali.
Se vuoi, contattami. Potrebbe risolverti i grattacapi del regalo dell'ultima ora.

Uno sguardo

A corollario del precedente articolo, un minuto di improvvisazione collettiva all'interno di un gruppo classe. Uno sguardo sull'energia, la partecipazione, la creatività, la convergenza, la condensazione, la confusione apparente, la magia dell'incontro...


Educazione scolastica - Uscire dal meccanismo premio/punizioni




Musicoterapia a scuola
Collaboro da alcuni anni con alcune scuole primarie della provincia di Milano e della Brianza per le quali realizzo cicli di incontri di introduzione alla musica. Si tratta di laboratori che hanno lo scopo principale di dare ai bambini l’opportunità di fare esperienze dirette con il suono, nella dimensione del gruppo classe, esperienze emotivamente significative.  A titolo di premessa credo sia utile ricordare che, in ambito musicoterapeutico, da un punto di vista teorico, le relazioni primarie dei bambini si sviluppano a partire da strutture e modalità tipicamente musicali, e che l’apprendimento della comunicazione vocale nasce in primo luogo nelle comunicazioni non verbali, paraverbali e pre-verbali all’interno delle relazioni di cura primarie (famiglia, scuola) che incontrano i bambini. La musica, inoltre, è gioco, scoperta (di sé e dell’altro), movimento, apprendimento, relazione e vitalità. Le proposte di musicoterapia durante l’infanzia favoriscono la possibilità di sviluppare competenze e capacità che vanno oltre il suono. Nel momento in cui i bambini, all’interno del gruppo, si impegnano a realizzare semplici dialoghi sonori con le percussioni e la voce, imparano a riconoscere l’altro, a comprendere il valore del contributo di ognuno, a rispettare regole e contesti specifici e condivisi e a incontrare i suoni e la musica al di là di quello che ascoltano abitualmente.
In caso di limiti nell’espressività verbale (per ragioni organiche o emotive), le vibrazioni dei suoni, in “relazioni musicali” strutturate, possono stimolare l’emissione vocale, poiché lavorano su competenze innate nei bambini che si sono “nutriti” di suoni (di vibrazioni) già nel mondo intrauterino, prima della nascita. Inoltre, a difficoltà di comunicazione verbale sono spesso associati disturbi emotivo-relazionali propri dei bambini e del loro contesto familiare. Esperienze di gioco sonoro attraverso strumenti musicali (anche semplici, costruiti “in casa”), piccoli rituali vocali, ecc. possono stimolare un nuovo e più efficace modo di comunicare, coinvolgente sul piano emotivo e sorprendente sul piano relazionale.  

Educare alla consapevolezza
Ciò detto, ritengo utile chiarire un punto che, nella mia esperienza educativa (di padre e di musicoterapeuta), sta diventando sempre più centrale e urgente: i bambini hanno bisogno di essere nutriti da un approccio educativo diverso, che valorizzi la loro nascente capacità di autoregolazione, riducendo il più possibile l’impostazione basata sul meccanismo del premio/punizione.
Nei laboratori, quindi, dedico sempre molto tempo e attenzione alla verifica della capacità da parte dei bambini di interiorizzare realmente regole e comportamenti adeguati al contesto, attraverso un processo di comprensione e condivisione, piuttosto che sostenere un superficiale adeguamento a un modello di comportamento imposto e non integrato. Per chi come me si accosta al mondo dell’infanzia con delicatezza e grande curiosità, è piuttosto spaventoso scoprire quanta fame di libertà e di accettazione incondizionata sia presente già in bambini di 6 o 7 anni. Inibizione, paura, frustrazione e senso di inadeguatezza sono sentimenti già sviluppati e condizionanti. In età in cui il bambino si approccia al mondo secondo strategie e capacità per lo più emotive, l’educatore spesso impone una relazione basata soprattutto sulla componente cognitiva e sulla violenza dell’imposizione di modelli di comportamento precostituiti.
I numerosi risultati immediati che la modalità premio/punizioni porta, induce molti educatori e insegnanti professionisti a non verificare o riconoscere le ricadute negative sul piano emotive e relazionale nel medio termine: stress emotivo, senso di inadeguatezza, finzione, competizione, incomprensione, cortocircuito evolutivo. Un segnale della difficoltà degli educatori di includere nella propria coscienza la possibilità di un approccio diverso dal premio/punizioni emerge quando questi confondono tale possibilità con la totale assenza di regole o condizioni che permettono la vita sociale nel gruppo classe. Al contrario, la condivisione di tali regole e condizioni è un passaggio cruciale per un approccio diverso al rapporto educativo, ma richiede più tempo, più creatività e nuove strategie che vedano le difficoltà e le insofferenze dei bambini non come ostacoli o “nemici”, quanto come opportunità e sfide per una diversa integrazione.
 E invece accade che la scuola, da grande risorsa sociale e culturale, si trasforma nel luogo di maggiore accumulo di tensioni e preoccupazione emotiva dei bambini, spesso amplificato dalle proiezioni genitoriali.
I laboratori di musica, nella diversa prospettiva che mi prefiggo, sono invece luoghi dell’immaginazione e del fare (sperimentare, esperire, conoscere, imparare, ecc.) dove ci si mette in gioco attraverso un diverso rapporto con sé stessi, con le regole e le condizioni che permettono la realizzazione di un’attività nella dimensione del gruppo classe, con la propria espressività e l’autenticità della propria voce.
I comportamenti normalmente considerati di disturbo non sono soffocati sul nascere attraverso la minaccia o il ricatto. Sono fatti emergere e osservati, nelle loro implicazioni e fatiche. In alcuni casi, quegli stessi comportamenti diventano musica, stimolo per improvvisazioni collettive o esperienze sonore improvvise e impreviste. Il gruppo classe che vede più volte o costantemente interrotto il lavoro per effetto di comportamenti inadeguati al contesto da parte di alcuni membri, è stimolato a osservare e comprendere. I bambini tutti sono responsabilizzati e orientati alla comprensione. Senza violenza, imposizioni o minacce, ma con coerenza, determinazione e chiarezza. Sul piano della relazione, allo specialista viene richiesta una grande flessibilità che deriva in parte dall’esperienza e in parte dalla consapevolezza delle proprie emozioni, delle proprie aspettative. Si passa spesso dal rapporto uno a gruppo al rapporto uno a uno, a seconda delle finalità, sapendo di poter contare nel tempo sullo sviluppo delle capacità autentiche di ascolto dei bambini e sul senso di responsabilità crescente. Un grande aiuto deriva dal piacere del suono (che nasconde d’altra parte un serio impegno e una grande concentrazione). Fare musica è fonte di grande gioia. Ma il caos sonoro derivante dall’incapacità di ascoltare o di rispettare gli altri provoca grande insofferenza e nervosismo negli stessi bambini.
Il laboratorio musicale diventa quindi un luogo di accoglienza, di condivisione autentica, di silenzi e attese, pur nella consapevolezza che, nella prospettiva del conduttore, il non fare equivale al fare, sul piano esperienziale.

L’alleanza con gli insegnanti
L’efficacia di una simile proposta deve necessariamente passare da una chiara condivisione con gli insegnanti. Tale aspetto non è banale né facile. L’esperienza mi conferma che purtroppo il modello premio/punizioni è ancora il più diffuso nella scuola primaria. In questa prospettiva, il laboratorio musicale che tanto piace ai bambini rischia di diventare esso stesso uno strumento di ricatto in mano agli insegnanti. Nel corso dei primi laboratori che ho realizzato, ho avuto più volte la brutta sorpresa di scoprire che i bambini più “cattivi” erano anche quelli che più spesso “saltavano” gli incontri di musica per rimanere in classe a “studiare”. Non è superfluo ricordare in un passaggio che questi laboratori espressivi, secondo un modello educativo basato sulla consapevolezza e l’accoglienza, sono una risorsa importantissima proprio per i bambini che più hanno difficoltà di integrazione scolastica.
Oggi, in fase di preparazione del laboratorio, esplicito quindi il modello di riferimento e definisco con gli insegnanti quali modalità ritengo non essere adeguate a tale impostazione. Concordo anche l’opportunità che gli insegnanti siano presenti durante il laboratorio, in alcuni casi anche attraverso una partecipazione attiva. Definisco tuttavia in modo deciso che la conduzione dell’incontro, sul piano degli interventi di richiamo e della gestione dell’ordine, spetta esclusivamente al sottoscritto, alfine di evitare interruzioni non funzionali al lavoro in corso, secondo la diversa prospettiva. Per gli insegnanti si tratta di una sfida nella sfida che, sorridendo, definisco come un’opportunità per tutti loro di “riposare” e, soprattutto, di osservare i bambini e le dinamiche del gruppo classe da una prospettiva differente. La speranza, in definitiva, è che gli insegnanti stessi, posti di fronte alla ricchezza di tale approccio, possano a loro volta far propri alcuni presupposti di questa modalità di gestione delle attività di classe, pur nelle diverse prospettive e obiettivi che le loro attività presentano. Sono fortemente convinto che gli insegnanti stessi siano stanchi ed esasperati da un approccio educativo violento, sterile e che costruisce relazioni non autentiche e salutari. È su questo piano che può avvenire quindi la convergenza tra il bisogno dei bambini e il bisogno degli educatori e insegnanti.

Per approfondimenti
Consiglio due testi utili ad approfondire la tematica:
Educare alla vita, di Krishnamurti, ed. Mondadori
Semi di felicità, di Thich Nhat Hanh, ed. Terra Nuova editore

Segnalo anche una serie di spunti sul tema presenti nel mio blog personale:
La scuola degli animali, da Osho, I libri del fiore d’oro (ed. Bompiani)
Il potere disciplinare e la scuola, da Michel Foucault, Il potere psichiatrico (ed. Feltrinelli)
Educare alla vita, da Krishnamurti, Educare alla vita (ed. Mondadori)

giovedì 8 novembre 2012

Incontri di meditazione coi suoni - Oreno di Vimercate (MB)




Come già detto, a partire da giovedì 8 novembre, tutti i giovedì sera dalle 20 alle 22 condurrò un gruppo di meditazione presso la sede dell'Associazione Shangri-la, in via della Madonna 29/31 a Oreno di Vimercate (MB). L'approccio alla meditazione sarà diversificato, aperto alle diverse possibilità dell'esperienza e alla condivisione col gruppo dei partecipanti. Cercherò tuttavia di valorizzare le potenzialità espressive e creative del suono: semplici tecniche vocali derivanti dal canto difonico; mantra tradizionali; improvvisazioni vocali di gruppo; semplici posizioni yoga con i suoni.
L'approccio sarà intuitivo, non tecnico, e funzionale al fare esperienze significative di apertura all'ascolto profondo di sé, della propria interiorità. Dal suono al silenzio, insomma.
Utilizzerò inoltre tecniche di meditazione dinamica e vipassana provenienti da diverse tradizioni. Mi piacerebbe stimolare con il gruppo, nel gruppo, il gusto per il gioco e la scoperta.
In questo cammino mi farò aiutare dalle parole di importanti maestri. Un buon modo per introdurre gli incontri, mi è sembrato quello di accostare due di questi maestri che appaiono, superficialmente, molto distanti tra loro: Thich Nhaht Hanh e Osho. Nel cuore delle esperienze, tutti gli insegnamenti possono avere un ruolo importante.

Chi volesse partecipare al primo incontro, può contattarmi:
333/8582316
guglielmo.nigro@gmail.com


Di seguito le parole dei due maesti, accostate le une alle altre.

Le sensazioni, le emozioni, le percezioni, …
vanno e vengono come le nuvole nel cielo

Thich Nhat Hanh


Ho sentito la storia di un ricercatore della verità che si recò da un Maestro Zen e gli chiese: “Come possiamo evitare il caldo e il freddo?”. […]
Il maestro rispose: “Avendo caldo e avendo freddo”.[…]
E permettimi di ripeterlo: il dolore è puro dolore, non c’è alcuna sofferenza. La sofferenza nasce dal desiderio che il dolore non esista, dal giudizio che nel dolore ci sia qualcosa di sbagliato. Osserva, diventa un testimone e rimarrai sorpreso. Hai mal di testa: il dolore c’è, ma senza la sofferenza. La sofferenza è un fenomeno secondario, il dolore è primario. Hai mal di testa, il dolore c’è, è un semplice dato di fatto. Non ci sono giudizi, non lo definisci buono o cattivo, non gli attribuisci alcuna valutazione, è un semplice dato di fatto.
La rosa è un fatto, come lo è la spina. Il giorno è un fatto, come lo è la notte. La testa è un fatto, come lo è il mal di testa. Ti limiti a prenderne nota. […]Un detto Zen:
Centinaia di fiori in primavera; la luna della mietitura in autunno.
Un fresca brezza d’estate, la neve in inverno.
Se non occupi la mente in inutili cose, ogni stagione per te è una buona stagione.

da Osho, Innamorarsi dell’amore

lunedì 1 ottobre 2012

La gioia del suono - Seminari a Oreno di Vimercate (MB)

il buddha che ride


Sabato 13 e sabato 27 ottobre, dalle 15 alle 18, presso  l'Associazione Shangri-la di Oreno di Vimercate (via della Madonna 29/31) terrò due incontri sul tema La gioia del suono.
Gli incontri si propongono di sviluppare un dialogo con la musicalità personale come occasione di un incontro gioioso e creativo con il suono.
Si approfondirà la conoscenza e l'interiorizzazione di semplici tecniche espressive vocali utili ad affrontare nel quotidiano lo stress, a risvegliare l'intuitività e a riequilibrare la propria struttura energetica e psichica.
Si valorizzeranno il silenzio e l'ascolto per un diverso dialogo con se stessi e gli altri. Si favorirà l'armonizzazinoe del respiro attraverso la voce per un nuovo equilibrio psico-fisico. Si svilupperà il movimento del corpo con la musica per una riscoperta del corpo funzionale e la decostruzione dell'armatura psicosomatica.

Da novembre, per chi fosse interessato, sarà poi possibile partecipare tutti i giovedì sera a incontri di meditazione con l'uso di semplici tecniche vocali, di meditazioni dinamiche e vipassana provenienti da diverse tradizioni. Consapevolezza, gioco, esplorazione, creatività, per fare qualche passo insieme nel cammino della vita.

Non sono necessarie specifiche competenze musicali per partecipare agli incontri, ma il desiderio di aprirsi alla scoperta della gioia della musica e a una conoscenza inedita di se stessi.
Agli incontri di meditazione possono partecipare persone senza esperienza o persone che hanno già avviato un percorso di pratica personale. Saranno occasione di condivisione e scambio reciproco.

Tutte le informazioni nel volantino che trovate qui sotto.

Vi prego di contattarmi direttamente per prenotare la partecipazione al seminario o avere informazioni sui diversi incontri:
333 8582316
guglielmo.nigro@gmail.com


 

giovedì 27 settembre 2012

Musicoterapia per la crescita - idea undici



Dondolo con pollici
Dal quarto mese il vostro bimbo potrebbe trovare piacevole stringere i vostri pollici con le sue manine, seduto di fronte voi sulle vostre gambe, e iniziare a mettere alla prova il suo equilibrio.
Vi potete sedere in poltrona, scegliere una musica semplice, dolcemente ballabile e guidare il suo movimento attraverso le braccia. La muscolatura del suo collo e della sua schiena, ancora poco abituata alla posizione eretta, cercherà di assecondare in modo un po' goffo ma divertente il dondolio che la musica suggerisce.  In questo semplice gioco, potete lavorare su due obiettivi secondari oltre a quello dell'equilibrio, due obiettivi che sono vitali per la vostra relazione: 1. Comprendere insieme quali sono i rischi che il vostro bimbo si vuole prendere nel movimento (e che voi avete il coraggio di fargli sperimentare), cercando movimenti più o meno veloci e più o meno "spericolati". Potrete così avere nuove informazioni rispetto al livello di confidenza e di orientamento all'esplorazione che ha vostro figlio; 2. Lavorare insieme sul rapporto di fiducia reciproco. Il vostro bimbo deve tenersi da solo, e voi dovreste avere fiducia che lui lo sappia e voglia fare. D'altra parte, il vostro bimbo si affiderà completamente a voi rispetto al movimento.
Si tratta di un gioco semplice, spontaneo, che non deve perdere naturalezza. Un gioco che ricordo sempre con un po' di nostalgia.

(musicoterapia per la crescita - presentazione)

venerdì 14 settembre 2012

La voce oltre la musica

La voce per me rappresenta qualcosa di intimo, di profondo: è tra le massime espressioni della propria identità umana, innanzitutto sessuale; uomini e donne hanno armonici completamente diversi, come ogni persona ha una voce diversa dall'altra. È come il proprio volto, rappresenta la propria immagine interna. In questo senso il canto ha caratteristiche molto diverse perché non ci sono mediazioni: il nostro corpo è il nostro strumento; quindi la ricerca è sempre quella di di saper fondere il proprio sentire, le proprie emozioni all'espressione vocale. Proprio per questo riconosciamo al canto, tra tutti gli strumenti, una forza e una delicatezza uniche, perché si è irrimediabilmente più esposti e la stessa tecnica non aiuta, in quanto si può essere ineccepibili ma freddi, il che in un cantante si riconosce subito.

Ada Montellanico
Musica Jazz, settembre 2012

sabato 8 settembre 2012

Il rispecchiamento del respiro - Le interferenze




Una delle tecniche più utilizzate e su cui insiste la didattica di molte scuole di musicoterapia è quella del rispecchiamento del respiro.
In modo un po’ schematico, funziona così: il terapeuta si pone di fronte al paziente; si ascolta per alcuni respiri, entrando in contatto con se stesso; poi sposta la propria attenzione sul paziente e ne osserva il respiro (il ritmo, l’ampiezza, le apnee, ecc.); dopo che ne ha compreso le caratteristiche, le ricalca, cercando di respirare nello stesso modo del paziente.
In musicoterapia, il respiro è una fonte ricchissima di informazioni musicali: ritmo, tono, dinamismo, suoni prodotti nella respirazione. Inoltre, praticamente tutte le discipline olistiche ci insegnano l’importanza del respiro, e quanto esso rappresenti il modo stesso di essere di ogni persona. Noi respiriamo come siamo.
Entrare in risonanza con il respiro altrui è quindi un ottimo modo per sviluppare empatia e comprensione profonda della condizione psico-fisica del paziente. In questo senso, è una tecnica utile da interiorizzare e padroneggiare.

Nei percorsi didattici, tuttavia, mi sembra che vengano poco evidenziate alcune controindicazioni che penso sia utile riportare, e di cui ho avuto consapevolezza piano piano, in anni di pratica. Ne scrivo perché è sempre fondamentale sviluppare flessibilità e profonda conoscenza delle tecniche che usiamo nei percorsi di cura.

1. Il rispecchiamento del respiro non deve far scomparire quello del terapeuta. Il contatto con il proprio respiro è sempre impresa ardua, un cammino che, come insegna la meditazione vipassana, richiede pratica continua, accettazione profonda, il giusto sforzo. Perdersi nel respiro dell’altro, e non ascoltare se stessi nella relazione di cura è molto seduttivo. Illudendoci di incontrare l’altro, ci fa dimenticare noi stessi, con il rischio di non riconoscere a fondo le nostre emozioni, le nostre aspettative e le nostre tensioni fisiche. Rischiamo di perderci, ma con l'illusione di una buona causa.
2. Il rispecchiamento del respiro è molto impegnativo. Richiede fatica ed energia. Laddove ci sono un profondo stato di disagio o una malattia, il respiro è sempre molto compromesso, irregolare, forzato, bloccato, con lunghe apnee, con ritmi molto rapidi o al contrario molto lenti. Rimanere anche solo alcuni minuti in quel respiro, che non ci appartiene e che è così impegnativo, richiede molta, moltissima concentrazione ed energia. Dobbiamo essere molto consapevoli di quando e se utilizzare il rispecchiamento. Rimanerci troppo tempo potrebbe farci perdere la visione complessiva della persona, spegnere la nostra intuizione, bloccare il libero fluire del percorso terapeutico e lasciarci spossati alla fine della seduta.
3. Ogni tecnica di rispecchiamento è a rischio dell’ “effetto pappagallo”. Ricordo che un giorno conversavo serenamente con una persona che avevo appena conosciuto e che sapevo essere esperto di PNL (Programmazione Neuro Linguistica). Ero a mio agio, rilassato e osservavo l’impegno del mio interlocutore mentre copiava il mio respiro e ogni mia postura. Era grottesco. Ogni rispecchiamento può favorire l’incontro con l’altro, ma può trasformarsi in un’azione fortemente invasiva, addirittura umiliante, se si riduce a una caricatura. Sono importanti la delicatezza e la cautela.
4. L’ultima riflessione collega e riassume tutte le altre. Il respiro è nel centro del nostro essere. Permette di armonizzare mente e corpo, di comprendere a fondo quello che siamo e dove siamo nel momento presente. Una persona con un respiro saldo, tranquillo, realmente in pace e solido ha la forza di calmare le persone che gli stanno accanto. Un paziente in uno stato di sofferenza ha bisogno come l’ossigeno di quella calma, di quella solidità. Al contrario, rimanere nel respiro sofferente e fragile del paziente può rinforzare un circolo vizioso di irrequietezza, instabilità e confusione.

In ogni situazione nella quale si decide di utilizzare la tecnica del rispecchiamento del respiro, è importante quindi riflettere su queste possibili “interferenze”, ed essere consapevoli del modo in cui la si sta utilizzando, del momento in cui la si mette in pratica, e dell’obiettivo specifico che si vuole perseguire. 

venerdì 7 settembre 2012

Suono, armonia e meditazione - Oreno



Inizia una nuova collaborazione, con l'Associazione Shangri-la di Oreno di Vimercate (MB).
In occasione della Sagra della Patata, nei week-end dell'8-9 e 15-16 settembre ci saranno diverse attività proposte dall'Associazione, tra le quali due incontri gratuiti sul suono, il benessere psicofisico e la musicoterapia olistica:

La gioia del suono: la musica come opportunità di cambiamento e di crescita. 
domenica 9 dalle 11 alle 12.
domenica 16 dalle 12 alle 13.

Presso la sede dell'Associazione, in via della Madonna 29/31, Oreno di Vimercate (MB).

In ottobre, seguiranno due seminari di approfondimento, sabato 13 e sabato 27 ottobre, dalle 15 alle 18.
Da novembre, tutti i giovedì sera dalle 20 alle 22 incontri di meditazione con i suoni e la musica.

Per tutte le informazioni, potete scaricare e leggere i volantini allegati, o contattarmi.








giovedì 12 luglio 2012

Le scuole e le tecniche




Imparare una tecnica può procurarci un lavoro, ma non ci rende creativi; mentre se c'è la gioia, se c'è il fuoco creativo, esso troverà il modo di esprimersi, senza bisogno di studiare un metodo espressivo. Chi vuole davvero scrivere una poesia la scrive e, se possiede la tecnica, tanto meglio; ma perché dare un'enfasi eccessiva a ciò che costituisce solo un mezzo di comunicazione se poi non si ha niente da dire? [...]
C’è speranza soltanto nell’integrazione dei diversi processi di cui siamo fatti. Integrazione che non viene in essere attraverso ideologie o l’adesione a qualunque autorità particolare, politica o religiosa che sia; essa viene in essere soltanto mediante un’estesa e profonda coscienza. Questa coscienza deve scendere entro strati più profondi dell’essere e non accontentarsi di risposte e reazioni superficiali.
Jiddu Krishnamurti - La mia strada è la tua strada, ed. Mondadori



La musicoterapia in Italia si è diffusa molto, sviluppata, cresciuta... istituzionalizzata.
Sono aumentate le scuole, sono aumentate le associazioni nazionali (AIM, CONFIAM, FIM, FEDIM, ...), sono aumentati gli operatori, i terapisti e i terapeuti. Il suono è una risorsa talmente ricca, che è normale, direi salutare, registrare questa crescita. E l'esigenza di istituzionalizzare, per certi versi, nasce anche dall'umana necessità di fare sistema, di condividere modelli ed esperienze.
Eppure, da tempo, si ascolta anche una nota stonata, un richiamo forte, incantatorio, da parte delle sirene del potere. Perché istituzionalizzare vuol dire anche diventare corporazione, nucleo di potere, nel tentativo di riempire il vuoto che è ancora presente nel rapporto con gli altri interlocutori già istituzionali. Una riflessione è d'obbligo.

La conseguenza principale di questa corsa al potere avviene a due livelli: nel rapporto con gli studenti di musicoterapia; nel rapporto con i pazienti e gli utenti.
Le associazioni nazionali e le scuole, nel confronto/scontro di potere, sviluppano meglio la contrapposizione piuttosto che il dialogo. Una contrapposizione ideologica che irrigidisce teniche e approcci alla materia che nulla hanno a che fare con la realà dell'esperienza terapeutica e con la complessità della cura, della vita.
La prima ricaduta, dicevo, avviene a livello dell'insegnamento. Piuttosto che insegnare agli studenti, futuri professionisti, un approccio aperto, flessibile, duttile, viene veicolato un modello rigido, ideologicamente e falsamente scientifico, freddo, che tende a ridurre le rielaborazioni e la complessità dell'esperienza reale. Gli studenti, in questo senso, si ritrovano a interiorizzare schemi pensati da altri, in altri percorsi di cura, che magari hanno avuto senso e una funzione allora, nel passato, ma che difficilmente possono essere riprodotti. A un secondo livello, le scuole e le associazioni tendono a proteggersi anche sul piano delle relazioni e degli incontri. Per esempio, i tirocini sono spesso autorizzati solo se svolti accanto a musicoterapeuti/pisti provenienti dalla stessa scuola o iscritti alla stessa associazione. Non importa l'esperienza, i risultati, le opportunità reali di conoscere e mettersi in gioco che un possibile tirocinio ha. In alcuni casi si arriva al paradosso per cui si preferisce lasciare il tirocinante da solo, piuttosto che affiancato a qualcuno che non si riconosce in quella precisa istituzione. Salvaguardia di un modello o salvaguardia di un potere?

La seconda ricaduta riguarda i pazieni, gli utenti. Un musicoterapeuta/pista ideologicamente formato, che cerchi di applicare le tecniche che ha appreso in modo fedele, senza aver sviluppato la capacità di riflettere con la propria testa e le proprie intuizioni, rischia di ribaltare il rapporto all'interno dei percorsi di cura: il paziente sarà costretto ad adattarsi alle tecniche proposte, piuttosto che il contrario. Il paziente vivrà quindi delle forzature, delle violenze inconsapevolmente indotte dalla rigidità dell'approccio, fino a raggiungere il punto di rottura, per cui il paziente risulterà inadatto alla tecnica, al modello di riferimento.
Questo meccanismo è insidioso, e trova facile presa sugli inesperti nuovi professionisti del settore per una funzione umana molto chiara che deve essere riconosciuta, ascoltata e rielaborata: la paura.
L'inesperienza (professionale, ma spesso anche l'immaturità relazionale e spirituale) portano il giovane professionista a nascondersi dietro le false sicurezze della tecnica. Tale paravento permetterà al professionista di non mettersi mai realmente in gioco, a nudo, nella realtà dell'esperienza e della relazione di cura, perché prima viene la tecnica, perché gli altri non possono capire quali sottili, intelligenti, superiori obiettivi si vanno perseguendo. Falsamente protetto, il giovane professionista, ideologicamente sicuro, non potrà che andare incontro a fallimenti, insoddisfazioni, sofferenza, enorme fatica. E il cerchio si chiude, nel momento in cui le paure e insicurezze del neo-professionista si scontrano con le reali esigenze dei pazienti e degli utenti, in una relazione terapeutica disfunzionale e inefficace.

Le scuole e le associazioni dovrebbero assumersi la responsabilità di riflettere su questi temi. E a seguito di tali riflessioni, dovrebbero agire per favorire negli studenti un approccio il più possibile aperto, multi-disciplinare, dove il metodo non sia né un insieme rigido e precostituito di tecniche, né un contenitore senza contenuti. I contenuti, insieme alle tecniche, sono l'esperienza, il nuovo, la disponibilità all'incontro, attraverso l'empatia, riconoscendo i propri limiti come persone, e le proprie risorse, guidati dall'energia e dal potenziale enorme che appartiene ai suoni, alla musica. Il contenuto sono la possibilità di sviluppare, insieme al paziente, un proprio personale, unico ma condivisibile metodo di lavoro, e valutare in modo sereno e concreto i risultati di tale lavoro.

domenica 24 giugno 2012

Meditazione guidata

Nella pratica del cambiamento che la musicoterapia olistica e transpersonale stimola, uno degli strumenti più efficaci è la meditazione guidata. Non è necessario inventare niente, in questo campo, perché la tradizione orientale e buddhista in particolare, ha lasciato infiniti esempi da poter applicare nelle diverse fasi della nostra vita.
Ne propongo di seguito una delle più semplici, ripresa dalla tradizione del Maestro vietnamita Thich Naht Hanh.
Ogni meditazione guidata può essere anticipata da un canto. Ci si mette in posizione seduta, rilassata, con la schiena dritta ma non rigida, se necessario bene appoggiata, in modo da ridurre le tensioni della postura. Si dedica qualche respiro al silenzio, e poi si intonano alcuni vocalizzi spontanei, seguendo il ritmo del respiro, che gradualmente inizia a calmarsi. Si può scegliere una vocale, oppure la "m". Non è importante. Lascirsi ispirare dal suono spontaneo è già meditazione.
Dopo qualche minuto, è possibile iniziare la meditazione guidata.
Al termine della meditazione, è importante continuare a respirare per qualche minuti in silenzio, aprire poi gli occhi gradualmente, tornare a osservare quel che abbiamo intorno, ascoltare la risonanza, e ascoltare come cambia la nostra percezione delle cose.
Se si vuole, è utile registrare le parole della meditazione guidata, in modo da non doversi distrarre nel leggere le parole. Consiglio di dedicare alcuni minuti ad ogni fase della meditazione guidata.
Molte persone mi chiedono come iniziare a meditare e questo è un ottimo modo.

Meditazione guidata
(le parole sulla colonna di destra, sono quelle che è possibile ripetere mentalmente per richiamare l'attenzione sull'intera frase):

Inspirando, so che sto inspirando,                                 DENTRO
Espirando, so che sto espirando.                                   FUORI
  
Inspirando, il mio respiro si fa profondo.                     PROFONDO
Espirando, il mio respiro si fa lento.                             LENTO

Inspirando, sono calmo.                                                CALMA  
Espirando, sono in pace.                                               PACE

Inspirando, sorrido.                                                       SORRIDO
Espirando, lascio andare.                                              LASCIO ANDARE

Dimorando nel momento presente.                               MOMENTO PRESENTE
So che è un momento meraviglioso.                             MOMENTO MERAVIGLIOSO

venerdì 25 maggio 2012

Fermarsi, respirare, ascoltare...



Osho, nel suo Libro Arancione, dove elenca diverse tecniche di meditazione, descrive quella che ironicamente chiama la meditazione più breve del mondo. Si tratta di fermarsi improvvisamente, nel mezzo della propria attività quotidiana, chiudere gli occhi, prendere contatto con il respiro, rendersi conto di essere parte di tutto quello che abbiamo intorno, e ascoltare cosa emerge durante questa pausa. La meditazione potrebbe durare in tutto mezzo minuto e andrebbe ripetuta almeno sei volte nel corso della stessa giornata. Sei brevissime pause, per ascoltare e respirare. Pause improvvise e non programmate.

Credo sia un ottimo esercizio per tutti, persone che si avvicinano alla meditazione per la prima volta, persone che meditano già da anni. Cerca di superare in una sola pratica due ostacoli molto ricorrenti: la possibilità di fermarsi nel corso dei tanti impegni giornalieri, per ritornare a contatto con se stessi e reciperare un po' di centratura; abituarsi ad ascoltare quello che in qualunque momento può emergere dalla nostra coscienza.

La meditazione breve è una provocazione del quotidiano, perché si impone in modo improvviso in qualunque momento, senza essere predeterminata. E d'altra parte, è importante fermarsi almeno sei volte in una giornata, per cercare di darle spazio e forza. Molte persone passano giornate e giornate di fila senza mai fermarsi neppure un minuto ad ascoltarsi in silenzio. O sono impegnate in diverse attività, oppure dormono. Cosa ci succede realmente in questi lunghi periodi di assenza? Cosa succede alla nostra coscienza? La pressione emotiva e psicologica cui ci sottoponiamo costantemente quali effetti profondi ha sul nostro corpo e a quali malattie può dare origine?

Iniziare a fermarsi, per brevi momenti durante la giornata, può avere effetti dirompenti. Può rivelarci la facilità con la quale ci è possibile ritrovare un contatto vitale con noi stessi e quello che ci circonda. Può rimettere in luce la nostra ombra, con il suo portato doloroso, dando voce e spazio a energie psichiche e spirituali che altrimenti si manifesterebbero in malattie e disturbi sul piano corporeo.
Fermarsi, respirare, ascoltare è la più potente delle medicine preventive.

lunedì 7 maggio 2012

Come farfalle



È ripresa la mia collaborazione con Prenatal per gli incontri A ritmo di bimbo nell’ambito dell’iniziativa Mamme in prima fila.
L’incontro prevede di raccontare ai genitori come è possibile utilizzare con consapevolezza e divertimento i suoni e la musica nella relazione quotidiana con i figli. In quell’ora e mezza circa di lavoro, alterniamo le chiacchiere con momenti di gioco insieme ai bambini.
Ho recentemente tenuto un incontro nel punto vendita di Baranzate, e come spesso accade, ho trovato tanta vitalità e curiosità. Intanto i bambini, da piccolissimi (c’erano anche alcune gestanti) ai 5 anni, che con la loro presenza aprono orizzonti luminosi. Quando li osservo insieme, ancora così piccoli, lascio il mio sguardo posarsi come farfalle sui fiori, senza fermarmi a lungo, assaporando le differenze e le caratteristiche comuni.
Poi i genitori, per lo più mamme, ma anche padri e nonne/i, che negli incontri fin qui realizzati hanno sempre mostrato una generosa apertura e una bella curiosità; per non dire della disponibilità a mettersi un poco in gioco, e sperimentare con i loro bambini. Ci sono occhi aperti e determinati, malgrado le incertezze del cambiamento in atto e la pressione delle responsabilità.
Infine l’organizzazione di Prenatal che finora è stata impeccabile, e pronta ad affrontare alcuni imprevisti.
I temi sono in buona parte quelli da me toccati nella serie di brevi articoli che ho postato nel blog sotto l’etichetta musicoterapia e la crescita. Ma presentarli di persona, e sporcarsi davvero le mani di suoni, è molto più divertente.
Potessi farlo più spesso, sarei un po’ più felice di così.

giovedì 3 maggio 2012

Reiki e bija mantra alla Galbusera Bianca, Perego (LC)

Domenica 6 maggio dal primo pomeriggio presso l'Oasi Galbusera Bianca, realizzerò trattamenti di reiki con il canto dei bija mantra per tutte le persone interessate a conoscere queste antiche tecniche orientali. Ogni trattamento sarà a offerta libera e durerà circa 30 minuti. Alcuni dettagli nel volantino.



Musica di specie

martedì 1 maggio 2012

Bija mantra e reiki



Lavoro da tempo con i bija mantra (per un approfondimento teorico, puoi andare su wikipedia), sia come pratica personale, che come sostegno al percorso di trasformazione di altre persone.
I mantra “radice” hanno una tradizione antichissima. Ogni suono è associato a un chakra fondamentale, e ne favorisce il riequilibrio energetico.
Il canto dei bija mantra, nella sua semplicità, permette di sviluppare concentrazione, di rimettere in movimento l’energia e la coscienza ad essa associata, di rigenerare il corpo nel piano fisico, armonizzando il respiro, e di curare i dolori associati ai diversi blocchi energetici e alle somatizzazioni.
Nella mia pratica di terapia olistica, insegno alle persone un modo intuitivo e semplice per cantarli e trasferirli nella propria quotidianità, attraverso un semplice rituale che ha più a che fare con la regolarità del ritmo e la cura del suono della voce (e del respiro associato) piuttosto che all’aspetto spirituale. Ritengo infatti che sia poco utile caricare queste esperienze di eccessivi significati mistici, perché possono creare false aspettative, un approccio dogmatico e lontano dalla reale esperienza, e perché l’aspetto spirituale è un fatto troppo personale e sensibile per poter essere generalizzato. Sarà quindi la pratica quotidiana del canto a permettere alle persone, con il proprio passo, di scoprire anche altri significati e altre aperture.

Nei percorsi di cura e trasformazione individuali, utilizzo inoltre i bija mantra associandoli al reiki secondo il metodo tradizionale Usui. Il reiki è una disciplina tanto misteriosa quanto semplice ed efficace. La sua pratica è per me un’occasione quotidiana di scoperta. Ed è con la stessa curiosità e apertura che propongo sedute di riequilibrio energetico durante le quali le persone sono tranquillamente distese, in ascolto, mentre ricevono il reiki nei diversi chakra insieme al canto del corrispondente bija mantra. Lo stato di benessere finale è assicurato, così come l’opportunità di scoprire qualcosa di nuovo di sé.
In effetti, reiki e bija mantra sono anche un ottimo strumento di comprensione dello stato emotivo e psico-somatico della persona, in quanto permettono un’esplorazione chiara, semplice e completa delle caratteristiche individuali di ognuno.

lunedì 30 aprile 2012

Incursioni sonore a Galbusera Bianca (LC)

Domani, primo maggio, all'Oasi Galbusera Bianca, Loredana e Barbara saranno a disposizione per far provare un trattamento di riflessologia plantare secondo il metodo tradizionale cinese On Zon Su a chi ne avesse voglia.
Se il tempo sarà clemente, io sarò nel prato, con un po' di percussioni, per invitare le persone a fare brevi esperienze di improvvisazione musicale, per muovere la propria creatività e la propria energia, all'insegna dell'emancipazione musicale.
Riflessologia plantare e improvvisazioni musicali saranno ad offerta libera.


Musica di specie.

giovedì 19 aprile 2012

Simmetria, solitudine e libertà




La pagina che conclude gli incontri di espressività musicale presso il Centro Ricerche Yoga di Barzanò.

Una calza alzata e una abbassata.
Un occhio un po’ più aperto dell’altro.
Un seno più grosso e uno più cadente.
I colori in una mano e l’acqua nell’altra.
Il cuore a sinistra e non a destra.
L’amore da una parte e la rabbia dall’altra.
L’asimmetria ci ricorda che la vita
ha un equilibrio instabile.

Amrito, la solitudine è lo stato supremo. Non c’è altro modo di essere, se non quello di essere solo. Puoi dimenticarlo, puoi immergerti in un’infinità di cose, ma la verità si impone continuamente. Di conseguenza, dopo ogni esperienza profonda ti sentirai solo; dopo ogni grande esperienza d’amore ti sentirai solo; dopo ogni meditazione profonda ti sentirai solo.
Ecco perché tutte le grandi esperienze rendono tristi coloro che le hanno vissute. Al risveglio di una grande esperienza, la tristezza si impone. […]
Se il tuo amore è profondo, ti renderà consapevole della tua solitudine e non dello stare insieme, poiché, ogni volta che qualcosa va in profondità, cosa ti accade? Abbandoni la periferia del tuo essere e cadi nel tuo centro; il centro è totale solitudine. Nel tuo centro ci sei solo tu; oppure non ci sei neppure tu, c’è solo la consapevolezza, senza ego, senza identità, senza definizioni: un abisso di consapevolezza.
Dopo aver ascoltato una musica sublime, o dopo essere penetrato nel significato di una poesia elevata, o dopo aver assistito a uno splendido tramonto, tornerai in superficie e ti sentirai triste, accade sempre così. Dopo aver constatato questa realtà, milioni di persone hanno deciso di non vedere la bellezza, di non amare, di non meditare, di non pregare: di evitare tutto ciò che è profondo. Ma anche se eviti la verità, la verità a volte piomba su di te. Prende possesso di te inconsapevolmente.
Puoi distrarti per qualche istante, ma non troverai giovamento in nessuna distrazione. Devi accettare la solitudine perché è lo stato definitivo. Non è dovuta al caso: è il modo di essere delle cose. È il Tao. […]
Quando nel tuo cuore nasce un canto, devi cantare. Quando nel tuo cuore nasce l’amore – l’amore è un derivato della solitudine – devi inondare gli altri. Quando la nuvola è piena di pioggia, deve scaricarsi; quando il fiore è colmo di fragranza, deve diffonderla nel vento.
Osho, I libri del fiore d’oro, ed. Bompiani


In questa pagina non c’è equilibrio. E il principio usato nei precedenti incontri è invertito. Prima una mia poesia, poi una citazione di Osho (di nuovo!). Poi ancora alcune parole. Il fatto è che cerchiamo equilibrio e stabilità e simmetria e perfezione dove non esiste. Non esiste nella superficialità delle cose!
Nella parziale imperfezione di questi incontri di musica e canti dove sono l’equilibrio e la pace?
Forse abbiamo avuto brevi momenti di riconciliazione. Oppure abbiamo sentito e scoperto nuovi dolori e fastidi. O ancora sono tornati a trovarci idee e sensazioni che pensavamo passate. O ne abbiamo raccolte di nuove, inattese. Ma l’equilibrio e la simmetria?
La vita non ha un andamento lineare, proprio come il movimento delle vibrazioni sonore nello spazio. Più il nostro petto si apre, la nostra voce si fa decisa e tranquilla, e maggiore è la nostra capacità di cantare a tutte le cose intorno a noi. Nelle otto direzione.
Forse la perfezione è in quell’idea di solitudine che non ha nulla a che fare con l’isolamento. Al contrario, è quel prezioso stato di intuizione, grande sensibilità, coscienza di essere parte di ogni cosa, di essere destinati a scomparirvi; quel prezioso stato che certamente ognuno di noi ha sperimentato almeno una volta nella vita.
Mi capita di sentire quell’abisso musicale di malinconia e tristezza ogni volta che osservo profondamente i miei figli e percepisco la loro trasformazione. I bimbi che credo di conoscere non ci sono già più. Istante dopo istante sono già qualcos’altro. Così per noi, così per le cose che crediamo immutabili.
Ed ecco che anche un semplice percorso di espressività musicale giunge alla fine, e ci ricorda della nostra solitudine, e delle infinite possibilità, prima tra tutte quella di ascoltarci da soli in silenzio, per ritrovare quel centro che non è permanente come vorrebbe Battiato, ma sempre mutevole. Accettiamolo, e non smettiamo mai di ballarci dentro. E lasciamo che le cose accadano. Come ci dice il maestro Lu Tsu: “In queste cose è come quando si beve l’acqua: ci si accorge da soli se è calda o fredda.” Non complichiamo quel che è semplice. Grazie a tutti voi.

lunedì 26 marzo 2012

La primavera che sboccia


disegno di gabo


Come già accennato, per il secondo anno di fila ho avuto la fortuna di lavorare con il servizio psichiatrico di Cernusco L.ne (Centro Residenziale) e di Merate (Centro diurno), in un progetto di musicoterapia olistica di gruppo. Ci sarà il tempo, spero, per raccontare metodologie e tecniche utilizzate, per ricordare esperienze ed emozioni di un percorso efficace e coinvolgente.
Oggi è il giorno che precede la festa conclusiva di domani, durante la quale i partecipanti, in due gruppi, metteranno in scena, davanti a un pubblico selezionato di addetti ai lavori e familiari, una performance di improvvisazione musicale e di (teatro)danza che abbiamo costruito insieme a partire dalle intuizioni offerte da alcuni dipinti realizzati da altri utenti.
Il tema principale che ha accompagnato ogni incontro, il filo rosso più o meno esplicito che ha legato le esperienze di ognuno è quello della possibilità del cambiamento, inteso come movimento spontaneo verso la vita. La possibilità cioè, di ritrovare dentro ognuno di noi la fiducia per ritornare a evolvere sul piano psichico. Senza dimenticare che è possibile sbloccare la mente solo con il fondamentale contributo del corpo. E la musica, nell’improvvisazione intuitiva e nell’espressione della danza spontanea, è uno strumento meraviglioso per ritrovare la sinergia benefica e vitale di corpo e mente.
In occasione della festa, per il giornale che viene realizzato dalla comunità, ho scritto un breve articolo di saluto che riporto qui sotto.

La primavera che sboccia
Non si può avere paura in primavera.
Dal riposo dell'inverno, dal suo freddo, dal suo buio, la natura ritorna alla vita con un canto potente e gioioso. È dalla natura che impariamo noi stessi, è in essa che ci ritroviamo. Lo dimentichiamo, ma ne siamo parte tutti insieme.
Il mio lavoro, con la dovuta umiltà, cerca di riportare un poco di primavera nelle persone che incontro, tramite quel meraviglioso strumento espressivo che è la musica. È un lavoro fatto di confronti e di sorprese. Ho imparato, negli anni, ad accogliere quello che arriva senza troppe aspettative. E magicamente, ogni incontro diviene scoperta.
Nella fragilità e nella sofferenza si nasconde, in potenza, la piena felicità. E per quanto le nostre antiche abitudini, i nostri meccanismi automatici, i mantra negativi che ci cantiamo ogni giorno nella mente, cercano di minacciare ogni passo del nostro cammino, ci sono infinite possibilità di ritrovare il nostro fiore che sboccia.
Ricordo le vostre facce, la prima volta che ci siamo incontrati. Ricordo le perplessità. E le parole delle educatrici: li abbiamo costretti a venire. So che per molti di voi, apparentemente, non ci sono ragioni per cui depositare fiducia negli altri, in nuovi incontri. Troppe delusioni, troppi dolori, troppi ricordi spaventosi. Eppure, quando ci apriamo alle possibilità, a volte, capita di ritrovarsi improvvisamente felici, più sollevati, più pieni di energia. È la magia degli incontri, la magia della musica e del movimento del corpo. Ci è capitato molte volte quest'anno!
E a guardare le vostre facce oggi, dopo tutti questi mesi insieme, mentre sudate nel cercare di mettere in musica le vostre emozioni, o di scacciare i demoni di un dipinto con le vostre danze, fatico a riconoscervi. Perché vedo un po' di questa meravigliosa primavera. Che è la vostra, che è la mia. E per quanto cerchiate di attaccarvi coi denti al vostro dolore, al demone che conoscete così bene, so che la forza della speranza per un cambiamento duraturo è più forte, più persistente. Concedetevelo.
E nell'osservarvi, mi rivedo cambiato io stesso. Non dimenticatelo, ma so che lo dimenticate. Voi provate a non dimenticare questo: ognuno di noi ha il suo bagaglio di dolore, paura, fragilità da curare; ognuno di noi ha un potenziale enorme di felicità e creatività da far sbocciare. Non siete speciali: specialmente sfortunati, doloranti, perdenti, soli, impauriti. Lasciate perdere il vostro orgoglio che si autocommisera, lasciate perdere le vostre vecchie convinzioni sulla vostra speciale, sfortunata condizione. Apritevi davvero alla vita che va a vanti. Alla primavera. Alla musica, al canto e alla danza. Ormai sapete che questa possibilità c'è, è reale ed è vicina.
Ogni mattina mi alzo e penso alla fortuna di fare un lavoro meraviglioso. E voi siete un dono. E io vi ringrazio.
Pace.

giovedì 22 marzo 2012

La primavera nel respiro

Dovunque c’è forma, dovunque c’è percezione, c’è abbaglio. Dobbiamo fare molta attenzione a non prendere le nostre decisioni in base all’apparenza delle cose, alla forma esteriore. Per trovare la felicità, l’illuminazione e la compassione occorre essere liberi e non lasciarsi ingannare dalle proprie percezioni. Quando osservi a fondo una cosa ne scopri la vera natura e non ti lasci più ingannare da quella cosa; se non sei più fuorviato dalle apparenze non soffri più, ma riesci a essere felice. […] Il Buddha disse: “Se a un certo punto della vostra vita prendete per verità assoluta un’idea o una percezione, chiudete la porta della mente. È la fine della ricerca della verità; non solo smettete di cercare la verità, ma se anche venisse la verità in persona a bussare alla vostra porta vi rifiutereste di aprirle. L’attaccamento alle opinioni, l’attaccamento alle idee, l’attaccamento alle percezioni sono i più grandi ostacoli alla verità”.
La tua azione, quello che fai, dipende da ciò che sei. La qualità della tua azione dipende dalla qualità del tuo essere. Mettiamo che tu voglia far felice qualcuno, che abbia un forte desiderio di rendere felice una persona. In sé è una buona idea, ma non la puoi realizzare se tu non sei felice: per rendere felice un altro devi essere felice tu per primo. C’è una connessione, dunque, tra fare ed essere; se non riesci bene nell’essere, non puoi riuscire bene nel fare.
Thich Nhat Hanh, La scintilla del risveglio, ed. Mondadori


La primavera è arrivata. Non lo ricordi, ma ritorna ogni mattino, all’alba. La primavera di ogni nuovo giorno ci abbraccia tutte le mattine. Nel ciclo più piccolo il ciclo più grande. E viceversa.
Così, nel ciclo naturale delle quattro stagioni ritroviamo il ciclo naturale del respiro. In quello del respiro, il ritmo delle stagioni.
Ogni volta che iniziamo un’inspirazione, stiamo nutrendo tutto il nostro essere, corpo mente e spirito. Ogni volta che terminiamo un’espirazione una piccola morte si consuma, o un piccolo inverno, prima della nuova rinascita. Da questo punto di vista, ogni respiro ha un significato diverso.
Dal respiro ha origine ogni cosa. Nel nostro caso, il canto, il suono, il movimento. Ogni nostro gesto sonoro, può avere l’intensità della primavera, o la chiusura dell’addio. Dipende dalla nostra disposizione. Quel che dobbiamo ricordare, è che l’una non può esistere senza l’altro.
Ma dimentichiamo tutto, dimentichiamo noi stessi. Nelle convinzioni, nelle abitudini, nelle idee. Siamo automatizzati, perché abbiamo paura, siamo stati addestrati alla paura, alla sfiducia.
Rompiamo questi meccanismi!
Quando canti, canta d’avvero, quando suoni, suona d’avvero, quando inventi, inventa d’avvero, senza pensare a quanto è già stato fatto. Quello è un ricordo, un pensiero, qualcosa che non è più reale, è già morto. L’esperienza è nel respiro presente.
Quindi, quando respiri, respira d’avvero. Respira la primavera e l’inverno, e le stagioni che dimentichi di vivere. E ascolta, e riconosci.
Prova a fare questi semplici esercizi:
1. Con la tua voce, inventa ogni mattina una piccola melodia nuova. Una per ogni nuovo inizio di giornata.
2. Porta ogni giorno l’attenzione a un suono diverso della natura (il canto di un uccello, il suono del vento, il latrato di un cane, …). Protrai l’attenzione il più a lungo possibile. Se puoi per tutta la giornata, anche quando il suono che hai scelto è assente. Ricercalo, potrebbe tornare quando non te lo aspetti.
3. Muovi il tuo corpo in una piccola, breve danza tutte le sere, prima di andare a letto. Una danza nuova, non stereotipata, senza suoni o musica, se non quella della tua intuizione. Chiudi agli occhi e danza.
In questi semplici esercizi, puoi riscoprire la gioia della primavera che sboccia, il gusto della libertà, l’evaporazione delle abitudini e delle vecchie idee. È un vecchio rito. Ancora attuale.

giovedì 8 marzo 2012

Bija mantra ed equilibrio energetico


In un certo senso, la musica è assolutamente silenziosa. I suoni sono presenti, ma quei suoni rendono il silenzio ancora più profondo: favoriscono il silenzio, non lo ostacolano; questa è la differenza tra il rumore e la musica. Il rumore è solo un suono che non ti conduce al silenzio, la musica è un suono che diventa soglia sul silenzio. […] L’essere del Maestro è l’essere della musica, della poesia, del canto. Ma tutto ciò conduce al silenzio e la verità può essere convogliata solo nel silenzio.
Osho, I libri del fiore d’oro, ed. Bompiani


[LAM]

1° MULADHARA (radice) - COLORE ROSSO
Superata la paura, la voce ha diritto di esistere, di manifestarsi, dentro e fuori di noi. Il suono è movimento della terra, è colpo del piede a terra, è sostegno e continua trasformazione.

[VAM]

2° SVADHISTHANA (zona sacrale) - COLORE ARANCIO
Superata la colpa, la voce trova il piacere del canto, nell’incontro con l’altro, nella fusione e nell’armonia dei sensi. Il corpo si rilassa, e il suono è energia germinale, che si riproduce in infinite vibrazioni.

[RAM]

3° MANIPURA (plesso solare) - COLORE GIALLO
Superata la vergogna, la voce trova la propria forma, si afferma nel mondo sensibile e invisibile, asseconda la propria vocazione, senza sopraffazione, senza lotta. Il suono è la possibilità di riconciliarsi con il mondo, trovando il proprio posto senza sforzo.

[IAM]

4° ANAHATA (cuore) - COLORE VERDE
Superato il dolore, la voce diviene amore incondizionato verso se stessi e gli altri, amore creativo e imprevedibile. Il suono unisce, nella compassione, senza esclusione. Cura donando felicità e guarendo se stesso.

[HAM]

5° VISUDDHA (gola) - COLORE AZZURRO
Superata la bugia, la voce trova la chiarezza, la libertà di esprimersi, la melodia del cuore, senza compromessi, condizionamenti o dubbi. Il suono si libera in modo creativo in ogni direzione, dal respiro nel vento, dal vento nel respiro.

[OHM]

6° AJNA (terzo occhio) - COLORE INDACO
Superata l’illusione, la voce ritorna alla sua origine, riconosce se stessa in se stessa, nelle sue vibrazioni, nelle sue funzioni energetiche e vitali, nella sua concentrazione sottile. Il suono avvolge ogni cellula, ogni pensiero; rivela l’assenza di cellule e l’assenza di pensiero. È presente e assente, come l’esperienza di un ricordo mai esistito.

[     ]

7° SAHASRARA (corona) - COLORE VIOLA
Superato ogni attaccamento, la voce ritorna al silenzio, e dimentica se stessa. Il suono è l’armonia del mondo, è l’esistenza nella sua forma sottile. Esperienza e sperimentatore sono un’unica cosa, e spariscono per sempre.

venerdì 24 febbraio 2012

Gli haiku nella terapia olistica (4)

Prosegue l'analisi sull'utilizzo degli haiku nella terapia olistica.
Capitoli precedenti:

Prima parte.
Seconda parte.
Terza parte.


夜に問いかければ
星で
わたしに答えてくる



Il tempo degli haiku
Non so dire, sulla base dell'esperienza personale, per quanto tempo le persone possano praticare la scrittura degli haiku. Si tratta ovviamente di uno spazio di scelta personalissima, che può essere anch'essa guidata dalla propria intuizione. Il terapeuta, a mio avviso, deve comprendere se alla base di una possibile interruzione vi siano meccanismi proiettivi della propria mente, tali da rendere impossibile il gioco della creatività verbale. Oppure l'impossibilità di tale pratica di rompere la ripetizione meccanica della quotidianità, quella frammentata e inconsapevole reiterazione di abitudini e azioni prive di soluzione di continuità. In fondo, come detto, l'haiku può essere un buon pretesto, un buon gioco per costringersi a fermarsi, ad aprire nuovi spazio di ascolto e osservazione profonda, a patto che non diventi esso stesso un lavoro.
Il terapeuta deve però anche capire se la pratica degli haiku è compatibile con la vocazione di ogni singola persona, per evitare di dare un esercizio che, a posteriori, potrebbe apparire solo come il risultato di un'imposizione esterna. Come sempre, è importante saper suggerire senza imporre.
In generale, comunque, credo che gli haiku possano essere un buon esercizio per chi ha un forte sbilanciamento del quinto chakra (vishudda). In caso di eccesso energetico (persone che parlano tanto, spesso in modo superficiale, possedute dal bisogno di riempire costantemente un vuoto), la sintesi prevista dall'haiku e il ribaltamento richiesto nel rapporto mente/parola, cioè nel processo di verbalizzazione, può favorire un diverso fluire energetico in vishudda, e una sua riarmonizzazione, oltre che un nuovo rapporto con l'ascolto, inteso in senso lato. Al contrario, nel caso in cui vishudda sia particolarmente bloccato (persone che hanno paura a comunicare, che mentono spesso, che non esprimono liberamente i propri bisogni), la pratica degli haiku può essere un buon ponte per rimettere in movimento parole, comunicazione ed espressività. L'haiku, così pensato, è relazione con sé, con gli altri, con il mondo esteriore e interiore.
Da questo punto di vista, l'esperienza con le brevi composizioni di origine giapponese è sinergica e coerente con il lavoro sul canto e, più in generale, con la musica e la creatività espressiva.

Rivedersi attraverso i propri haiku
Nel tempo, gli haiku diventano tracce lasciate sul proprio cammino. Offrono una prospettiva, l'idea di un movimento. In essi è possibile riconoscersi a distanza di mesi o anni, o perfino accorgersi di non riconoscersi più. Sappiamo che questa è una caratteristica di ogni forma di scrittura personale. Tuttavia, gli haiku, per le loro caratteristiche (brevità, naturalismo, alterità, ecc.) possono essere ancora più efficaci, dal momento che la loro forza evocativa è persistente, e muta come cambiano le persone nel tempo. Se nel presente, quindi, la rilettura di queste composizioni permette di osservare quello che sta succedendo, a distanza di tempo, permette di osservare il cambiamento e, perché no, il ritmo e il suono di tale cambiamento. Di recuperare un passo, che è simbolo, vibrazione, gesto, ascolto e che ha ancora senso nel momento presente. Ed è il frutto di un nuovo rapporto, più creativo e libero con la realtà di tutti i giorni. Al punto di poter arrivare a (ri)scoprire la propria voce, prima addormentata, nella bellezza dell'intuizione poetica.

(continua)

mercoledì 22 febbraio 2012

Gli haiku nella terapia olistica (3)

Prosegue l'analisi sull'utilizzo degli haiku nella terapia olistica.

Capitoli precedenti:
Prima parte.
Seconda parte.


へびがくたばり、
太陽の道では
かえるの舞

Premessa
Aprivo il primo articolo sulla pratica degli haiku nella terapia olistica con tre domande, che riprendo:
C'è spazio nella nostra quotidianità per la poesia?
Che rapporto esiste in noi tra realtà pratica e intuizione?
Quando permettiamo alla nostra creatività di manifestarsi?

In un percorso di cura olistica, con il suono, con la parola, con la meditazione, ... l'intuizione e la visione profonda devono essere nutriti e sostenuti, spesso in vece della razionalità, dell'intelletto. In estrema sintesi, una terapia transpersonale ha l'obiettivo di tornare all'unità, risolvere la frammentazione che nella crescita è avvenuta tra corpo, mente e parola. È il compito che dovrebbe affrontare ognuno nella propria vita, e che in specifiche fasi richiede un aiuto, un supporto.
La pratica degli haiku, se sviluppata con un approccio attento, consapevole, può risultare efficace proprio nella sua funzione di cuneo nella coscienza, che svela e rivela la propria apertura all'intuizione e disposizione verso la creatività. Inoltre, il rifiorire della voce poetica è un importante segnale dell'apertura del cuore agli altri e al mondo, a sè e alla propria condizione di sofferenza. Si può dire che, come sul piano spirituale, nel chakra del cuore si ricompone la frammentazione del corpo, così su un piano verbale, nella poesia (nell'haiku) si ricompone la frammentazione della parola e della coscienza.
La pratica degli haiku è quindi sia uno strumento di evoluzione che di osservazione di sè.

Il processo creativo degli haiku nella quotidianità
Suggerire alle persone di utilizzare gli haiku presuppone quindi un cambio di prospettiva nel rapporto con se stessi e con la parola. Non sarà più quindi una verbalizzazione che nasce dal solo intelletto, dal ragionamento. Sarà una forma di espressione che arriva a compimento di un percorso giornaliero di introspezione, ascolto e, per estensione, meditazione. L'haiku come intuizione poetica breve dovrebbe favorire una disposizione personale nuova, tanto rara quanto necessaria nella nostra quotidianità: quella di potersi fermare, di ascoltare (dentro e fuori di sé), di osservare. In quello stato, scrivere una breve poesia è un modo per rappresentare simbolicamente piccole rivoluzioni quotidiane della coscienza, che culminano così in un gesto poetico.
In questa pratica, c'è un pericolo immediato che crea la mente: trasformare la creazione degli haiku in uno scopo, un compito, un lavoro. Durante la giornata, si andrebbe quindi costantemente alla ricerca di spunti creativi per realizzare nuovi haiku. Questo è il tranello della mente, che ci vorrebbe sempre impegnati. Il rapporto con la poesia andrebbe invece invertito. Non uno scopo, ma un naturale fluire al culmine di momenti di introspezione e ascolto.
L'atteggiamento corretto sarebbe quello di lasciarsi in qualche modo cogliere di sorpresa, come da un urgenza, da un gesto inatteso. Solo in questo modo la pratica degli haiku potrebbe davvero rivelare la sua forza e la sua efficacia, offrendo l'accesso a parti di noi stessi prima insospettate.
L'haiku può, così, anche aiutare le persone a ritornare al gioco infantile della creatività fine a se stessa o, se non altro, finalizzata a un apprendimento vitale, alla costruzione di un nuovo rapporto di sè con il mondo. La realtà di tutti i giorni può tornare a essere esperienza creativa in continuo fluire.

Avviare il processo creativo nella terapia olistica
Un buon modo per aiutare le persone a comprendere appieno il senso di questa pratica e l'approccio atteso, è quello di stimolare la creazione degli haiku durante gli incontri terapeutici. Soprattutto all'inizio, può essere più efficace chiedere di realizzare un haiku in momenti non programmati di una seduta, secondo l'intuizione e la sensibilità del terapeuta: in apertura di incontro; dopo un'improvvisazione musicale o un massaggio sonoro; dopo un esercizio di meditazione; dopo una verbalizzazione importante; ...
Durante gli incontri di terapia, una particolare attenzione può essere posta, successivamente, alla lettura ad alta voce del proprio componimento, fino alla realizzazione di una sorta di rituale creativo nel quale la recitazione (o il canto!) degli haiku rappresenta il culmine dell'esperienza (tornerò su questo in un successivo articolo, dove descriverò un rituale esemplificativo).
Il lavoro avviato durante le sedute ha un valore doppio, inquanto sostiene e offre una cornice al lavoro realizzato in autonomia nella quotidianità, che rischia, come sappiamo, di frammentarsi e perdere in concentrazione, soprattutto nel primo periodo.
Compito del terapeuta sarà quello di lavorare sulla motivazione e l'atteggiamento con il quale le persone si rapportano alla pratica. Ritengo sia invece importante evitare qualunque critica in merito al contenuto. Quest'ultimo, piuttosto, può essere oggetto di rielaborazione comune, quando ciò lo si ritenga importante, ma in molti casi l'haiku può semplicemente depositarsi e convibrare nello spazio della coscienza comune della terapia.

(continua)

lunedì 20 febbraio 2012

Gli haiku nella terapia olistica (2)

Prosegue l'analisi sull'utilizzo degli haiku nella terapia olistica.
La prima parte qui.

爪が深く
愛を彫りつける
わたしの背中


Creare i propri haiku
La seconda fase della pratica degli haiku nella terapia olistica è quella di guidare le persone alla creazione dei propri componimenti poetici, tenendo fede a due principi fondamentali: la scrittura intuitiva e la brevità dei componimenti.
Gli haiku della tradizione hanno una struttura metrica predefinita, che ne determina il passo e il ritmo (una lunghezza complessiva di 17 sillabe, spesso suddivise in modo ripetitivo in tre strofe, es. 5-7-5). Ma ricordandoci di non dover sviluppare un approccio teorico e tecnico alla pratica, ritengo sia più utile evidenziare alle persone: a) quella che potremmo definire la forma superficiale delle composizioni; b) alcune riflessioni sul contenuto; c) il processo creativo auspicato.

a) La forma superficiale che possiamo tenere a riferimento per una pratica efficace è la seguente: una breve poesia di tre versi, di cui il primo e il terzo più breve, e il secondo, centrale, un poco più lungo, per esempio. Dal punto di vista della tecnica poetica, questa semplificazione può apparire eccessiva, ma troppa attenzione alla struttura formale potrebbe spostare incautamente l'attenzione delle persone sull'aspetto razionale, intellettuale e formale (appunto) della pratica, perdendo gran parte della forza intuitiva di questo tipo di lavoro.
Il passo successivo, che può spingere le persone alla ricerca di una maggiore sintesi, è il riferimento alle 17 sillabe complessive, senza ulteriori precisazioni o schematismi.

b) Per quanto riguarda il contenuto, gli haiku della tradizione ci aprono un mondo semplice per quanto ampio e inatteso. Il cuore di questi componimenti è senza dubbio il naturalismo nel quotidiano: oggetti, animali, eventi appartengono al mondo naturale della nostra vita di tutti i giorni. Da questo punto di vista, l'haiku sembra nascere dall'osservazione attenta di quanto ci circonda, con particolare attenzione agli elementi naturali, al clima, alle stagioni e al momento del giorno in cui la composizione viene realizzata. Il contenuto è quindi frutto di una ricerca giornaliera e curiosa all'insegna della semplicità e della sintesi, e veicola elementi autobiografici importanti, per quanto più spesso solo suggeriti. Poche parole, brevi versi per mettere in scena un momento di vita quotidiana, per descriverne gli elementi centrali e rappresentarli sul piano simbolico verbale.

c) Ma il naturalismo non è l'obiettivo finale della ricerca sul contenuto, quanto il meccanismo attraverso il quale è possibile, negli elementi del quotidiano, scoprire significati altri, inediti rispetto a se stessi e alla propria coscienza. Gli elementi descritti negli haiku, insomma, sono un simbolo per qualcosa di altro, nello specifico, di un'alterità vera e propria che rimanda al percorso interiore delle persone, al cammino in essere, con il proprio portato emotivo ed energetico. Il processo creativo merita tuttavia ulteriori precisazioni in un paragrafo a sé.

(continua)

giovedì 16 febbraio 2012

Gli haiku nella terapia olistica (1)


凍てつく夜、
魔女の唱和が
月をあたためる



Premessa
C'è spazio nella nostra quotidianità per la poesia?
Che rapporto esiste in noi tra realtà pratica e intuizione?
Quando permettiamo alla nostra creatività di manifestarsi?

Sulla base della mia esperienza personale e della pratica di terapia olistica che porto avanti ormai da anni (per lo più con l'utilizzo della musica), ho notato una forte correlazione tra il grado di benessere personale percepito e il grado di libertà espressiva con la quale ci esprimiamo quotidianamente.
Non c'è dubbio che per la maggior parte delle persone, l'utilizzo della musica in qualunque sua forma non sia la modalità espressiva più comune. La più familiare, con il suo portato simbolico e i suoi evidenti limiti, resta la parola. Eppure, le parole del quotidiano sono spesso prive di vitalità, schematiche, ripetitive, abituali. In generale, accanto al malessere o al disagio personale, si riscontra un irrigidimento nell'uso della parola, sia essa parte della comunicazione spontanea quotidiana, sia essa parte di un linguaggio tecnico utilizzato a scopi lavorativi o intellettuali. Non intendo dire che debba esserci per forza un impoverimento del lessico, o delle sue diverse sfaccettature, quanto piuttosto un uso rigido, non creativo, della parola e delle sue forme.
Per queste ragioni, dopo un lungo apprendistato personale, ho iniziato a utilizzare nei percorsi di cura la pratica degli haiku, una pratica giapponese antichissima e ricca di suggestioni, che, nella sua semplicità apparente, favorisce una profonda ricerca personale, e il ritorno a un uso inatteso, creativo e intuitivo della parola, delle verbalizzazioni e della creazione poetica. Da questo punto di vista, l'uso degli haiku nei percorsi di cura che propongo non ha alcun intendimento tecnico. Dalle brevi poesie giapponesi si ricercano stimoli evocativi, sinestetici e inaspettati.

Cos'è un haiku
Per semplicità di riferimenti, nella definizione degli haiku mi rivolgo a wikipedia, che li definisce come componimenti poetici nati in Giappone, composti da tre versi per complessive diciassette sillabe. In rete, esistono tuttavia parecchie pagine (professionali e amatoriali) dedicate a questa forma poetica. L'haiku, a giudicare dai risultati di ricerca, gode in rete di una certa attenzione che ritrovo con più difficoltà tra le persone che incontro nei miei percorsi di cura.

Sempre wikipedia ci dice che l'haiku fu creato in Giappone nel XVII secolo, ma deriva dal tanka, componimento poetico di 17 sillabe che risale già al IV secolo. La lunghezza dei versi dipende dal contenuto dell'haiku, purché sia sempre di 17 sillabe.
L'haiku è una poesia dai toni semplici, senza alcun titolo, che elimina fronzoli lessicali e congiunzioni, traendo la sua forza dalle suggestioni della natura e delle stagioni: per via dell'estrema brevità la composizione richiede una grande sintesi di pensiero e d'immagine. Soggetto dell'haiku sono scene rapide ed intense che rappresentano appunto, in genere, la natura e le emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin (il poeta). L'ultimo verso è, tradizionalmente, il cosiddetto riferimento stagionale (kigo), cioè un accenno alla stagione che definisce il momento dell'anno in cui viene composta o al quale è dedicata.
La mancanza di nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni, quasi come una traccia che sta al lettore completare.
In Giappone si calcola che più di dieci milioni di persone (circa il 10% della popolazione) si dilettino a scrivere haiku. I gruppi di poeti che si riuniscono per parlare di haiku si chiamano haijin. Pressoché ogni giornale nipponico ha una sezione riservata agli haiku.

La diffusione della pratica degli haiku in Giappone non deve sorprendere, si tratta, come vedremo, di un esercizio semplice, piacevole e fortemente rivelatore del proprio percorso personale.

Avvicinarsi agli haiku nella terapia olistica
Un buon modo per avvicinare le persone a questa pratica, nella terapia olistica, è quella di favorire un rapporto non mediato con gli haiku; lasciare cioè che i brevi componimenti della tradizione impattino senza mediazione razionale e intellettuale con la coscienza delle persone. Che arrivino come un venticello improvviso, lascino il loro suono, risuonino nella coscienza, si depositino.
Dobbiamo essere consapevoli, naturalmente, che il nostro rapporto con gli haiku giapponesi è di tipo indiretto, per ovvie ragioni linguistiche. Non ci è possibile assorbire la forza originaria del segno e del testo dell'haiku, a meno di non conoscere in modo approfondito la lingua giapponese.
È utile anche ricordare che la lingua giapponese ha un'evocazione simbolica e una sintesi linguistica completamente diversa da quella italiana. Gli ideogrammi hanno un equilibrio e una struttura formale propria che non ha alcun paragone nella lingua italiana. Per molti aspetti, la bellezza degli haiku originari sta, oltre che nel suo suono e nel suo contenuto, anche nel suo aspetto visivo, grafico. Non è un caso, infatti, che la creazione degli haiku, nella tradizione, sia molto spesso associato all'arte della calligrafia.
Un esempio può chiarire questo aspetto. Riporto uno degli haiku più conosciuti della tradizione, a opera del maestro Matsuo Basho:

古池や蛙飛びこむ水の音
(furu ike ya kawazu tobikomu mizu no oto)

Nel vecchio stagno
una rana si tuffa.
Rumore d'acqua.

Tuttavia, il contenuto degli haiku mantiene intatti la sua forza evocativa e il suo valore poetico.
Nella pratica terapeutica quindi, gli haiku possono essere raccolti e pescati dal terapeuta in modo intuitivo, per poi proporli alla persona con la quale si sta lavorando (o con gruppi di persone), in un meccanismo per certi versi simile a quello delle libere associazioni o, meglio, all'intuizione profonda di un percorso di consapevolezza.
Gli haiku possono puntellare come stelle il cielo della pratica terapeutica, offrendo spunti inattesi, funzionando come specchi nei quali riconoscersi in modo nuovo.
La brevità e sintesi degli haiku, il modo di accostare i tre versi, la forza evocativa delle immagini, sono tutti elementi che favoriscono nelle persone la ricerca di un proprio significato personale, in sintesi, di ritrovare nel componimento qualcosa di se stessi, nel momento in cui quel qualcosa avviene, di farlo diventare proprio. Haiku vecchi anche di secoli ci arrivano come parti della nostra coscienza, per rivelarci qualcosa di inedito di noi stessi. Non è forse questo il valore più profondo della composizione poetica?

(continua)
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