sabato 8 settembre 2012

Il rispecchiamento del respiro - Le interferenze




Una delle tecniche più utilizzate e su cui insiste la didattica di molte scuole di musicoterapia è quella del rispecchiamento del respiro.
In modo un po’ schematico, funziona così: il terapeuta si pone di fronte al paziente; si ascolta per alcuni respiri, entrando in contatto con se stesso; poi sposta la propria attenzione sul paziente e ne osserva il respiro (il ritmo, l’ampiezza, le apnee, ecc.); dopo che ne ha compreso le caratteristiche, le ricalca, cercando di respirare nello stesso modo del paziente.
In musicoterapia, il respiro è una fonte ricchissima di informazioni musicali: ritmo, tono, dinamismo, suoni prodotti nella respirazione. Inoltre, praticamente tutte le discipline olistiche ci insegnano l’importanza del respiro, e quanto esso rappresenti il modo stesso di essere di ogni persona. Noi respiriamo come siamo.
Entrare in risonanza con il respiro altrui è quindi un ottimo modo per sviluppare empatia e comprensione profonda della condizione psico-fisica del paziente. In questo senso, è una tecnica utile da interiorizzare e padroneggiare.

Nei percorsi didattici, tuttavia, mi sembra che vengano poco evidenziate alcune controindicazioni che penso sia utile riportare, e di cui ho avuto consapevolezza piano piano, in anni di pratica. Ne scrivo perché è sempre fondamentale sviluppare flessibilità e profonda conoscenza delle tecniche che usiamo nei percorsi di cura.

1. Il rispecchiamento del respiro non deve far scomparire quello del terapeuta. Il contatto con il proprio respiro è sempre impresa ardua, un cammino che, come insegna la meditazione vipassana, richiede pratica continua, accettazione profonda, il giusto sforzo. Perdersi nel respiro dell’altro, e non ascoltare se stessi nella relazione di cura è molto seduttivo. Illudendoci di incontrare l’altro, ci fa dimenticare noi stessi, con il rischio di non riconoscere a fondo le nostre emozioni, le nostre aspettative e le nostre tensioni fisiche. Rischiamo di perderci, ma con l'illusione di una buona causa.
2. Il rispecchiamento del respiro è molto impegnativo. Richiede fatica ed energia. Laddove ci sono un profondo stato di disagio o una malattia, il respiro è sempre molto compromesso, irregolare, forzato, bloccato, con lunghe apnee, con ritmi molto rapidi o al contrario molto lenti. Rimanere anche solo alcuni minuti in quel respiro, che non ci appartiene e che è così impegnativo, richiede molta, moltissima concentrazione ed energia. Dobbiamo essere molto consapevoli di quando e se utilizzare il rispecchiamento. Rimanerci troppo tempo potrebbe farci perdere la visione complessiva della persona, spegnere la nostra intuizione, bloccare il libero fluire del percorso terapeutico e lasciarci spossati alla fine della seduta.
3. Ogni tecnica di rispecchiamento è a rischio dell’ “effetto pappagallo”. Ricordo che un giorno conversavo serenamente con una persona che avevo appena conosciuto e che sapevo essere esperto di PNL (Programmazione Neuro Linguistica). Ero a mio agio, rilassato e osservavo l’impegno del mio interlocutore mentre copiava il mio respiro e ogni mia postura. Era grottesco. Ogni rispecchiamento può favorire l’incontro con l’altro, ma può trasformarsi in un’azione fortemente invasiva, addirittura umiliante, se si riduce a una caricatura. Sono importanti la delicatezza e la cautela.
4. L’ultima riflessione collega e riassume tutte le altre. Il respiro è nel centro del nostro essere. Permette di armonizzare mente e corpo, di comprendere a fondo quello che siamo e dove siamo nel momento presente. Una persona con un respiro saldo, tranquillo, realmente in pace e solido ha la forza di calmare le persone che gli stanno accanto. Un paziente in uno stato di sofferenza ha bisogno come l’ossigeno di quella calma, di quella solidità. Al contrario, rimanere nel respiro sofferente e fragile del paziente può rinforzare un circolo vizioso di irrequietezza, instabilità e confusione.

In ogni situazione nella quale si decide di utilizzare la tecnica del rispecchiamento del respiro, è importante quindi riflettere su queste possibili “interferenze”, ed essere consapevoli del modo in cui la si sta utilizzando, del momento in cui la si mette in pratica, e dell’obiettivo specifico che si vuole perseguire. 

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