Una delle tecniche più utilizzate e su cui insiste la
didattica di molte scuole di musicoterapia è quella del rispecchiamento del
respiro.
In modo un po’ schematico, funziona così: il terapeuta si
pone di fronte al paziente; si ascolta per alcuni respiri, entrando in contatto
con se stesso; poi sposta la propria attenzione sul paziente e ne osserva il
respiro (il ritmo, l’ampiezza, le apnee, ecc.); dopo che ne ha compreso le
caratteristiche, le ricalca, cercando di respirare nello stesso modo del
paziente.
In musicoterapia, il respiro è una fonte ricchissima di
informazioni musicali: ritmo, tono, dinamismo, suoni prodotti nella
respirazione. Inoltre, praticamente tutte le discipline olistiche ci insegnano
l’importanza del respiro, e quanto esso rappresenti il modo stesso di essere di
ogni persona. Noi respiriamo come siamo.
Entrare in risonanza con il respiro altrui è quindi un
ottimo modo per sviluppare empatia e comprensione profonda della condizione
psico-fisica del paziente. In questo senso, è una tecnica utile da
interiorizzare e padroneggiare.
Nei percorsi didattici, tuttavia, mi sembra che vengano poco
evidenziate alcune controindicazioni che penso sia utile riportare, e di cui ho
avuto consapevolezza piano piano, in anni di pratica. Ne scrivo perché è sempre
fondamentale sviluppare flessibilità e profonda conoscenza delle tecniche che
usiamo nei percorsi di cura.
1. Il rispecchiamento del respiro non deve far scomparire
quello del terapeuta. Il contatto con il proprio respiro è sempre impresa
ardua, un cammino che, come insegna la meditazione vipassana, richiede pratica
continua, accettazione profonda, il giusto sforzo. Perdersi nel respiro
dell’altro, e non ascoltare se stessi nella relazione di cura è molto seduttivo.
Illudendoci di incontrare l’altro, ci fa dimenticare noi stessi, con il rischio
di non riconoscere a fondo le nostre emozioni, le nostre aspettative e le
nostre tensioni fisiche. Rischiamo di perderci, ma con l'illusione di una buona causa.
2. Il rispecchiamento del respiro è molto impegnativo.
Richiede fatica ed energia. Laddove ci sono un profondo stato di disagio o una
malattia, il respiro è sempre molto compromesso, irregolare, forzato, bloccato,
con lunghe apnee, con ritmi molto rapidi o al contrario molto lenti. Rimanere
anche solo alcuni minuti in quel respiro, che non ci appartiene e che è così
impegnativo, richiede molta, moltissima concentrazione ed energia. Dobbiamo
essere molto consapevoli di quando e se utilizzare il rispecchiamento.
Rimanerci troppo tempo potrebbe farci perdere la visione complessiva della persona,
spegnere la nostra intuizione, bloccare il libero fluire del percorso
terapeutico e lasciarci spossati alla fine della seduta.
3. Ogni tecnica di rispecchiamento è a rischio dell’
“effetto pappagallo”. Ricordo che un giorno conversavo serenamente con una
persona che avevo appena conosciuto e che sapevo essere esperto di PNL
(Programmazione Neuro Linguistica). Ero a mio agio, rilassato e osservavo
l’impegno del mio interlocutore mentre copiava il mio respiro e ogni mia
postura. Era grottesco. Ogni rispecchiamento può favorire l’incontro con l’altro,
ma può trasformarsi in un’azione fortemente invasiva, addirittura umiliante, se
si riduce a una caricatura. Sono importanti la delicatezza e la cautela.
4. L’ultima riflessione collega e riassume tutte le altre.
Il respiro è nel centro del nostro essere. Permette di armonizzare mente e
corpo, di comprendere a fondo quello che siamo e dove siamo nel momento
presente. Una persona con un respiro saldo, tranquillo, realmente in pace e
solido ha la forza di calmare le persone che gli stanno accanto. Un paziente in
uno stato di sofferenza ha bisogno come l’ossigeno di quella calma, di quella
solidità. Al contrario, rimanere nel respiro sofferente e fragile del paziente
può rinforzare un circolo vizioso di irrequietezza, instabilità e confusione.
In ogni situazione nella quale si decide di utilizzare la
tecnica del rispecchiamento del respiro, è importante quindi riflettere su
queste possibili “interferenze”, ed essere consapevoli del modo in cui la si
sta utilizzando, del momento in cui la si mette in pratica, e dell’obiettivo
specifico che si vuole perseguire.
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