venerdì 7 agosto 2009

Imparare uno strumento o imparare a suonare?


Accade che nel mio lavoro si facciano diversi incontri.
Ogni incontro porta a riflettere sul valore che ha la musica nella nostra vita, nella nostra società e nella nostra intimità. So che, per ragioni misteriose, troppo spesso fare musica e fare esperienza del suono rimangono cose separate. Chi insegna musica, a tutti i livelli, dimentica che essa nasce dalla combinazione di suoni, dalla produzione ed emissione di suoni, che sono entità fisiche concrete, non volatili esperienze uditive e basta. Il suono è una forma di energia ben caratterizzata e descritta, di cui è possibile fare esperienza ben oltre la tecnica strumentale e l’ascolto con le orecchie.
È per questa ragione che, quando insegno il pianoforte, cerco di offrire esperienze sonore e musicali multiformi, che passano dall’uso delle percussioni, al massaggio sonoro, al movimento con il corpo. Perché è importante comprendere intimamente da subito che, se un adulto deve affrontare un passaggio pianistico con una ritmica complessa, oppure un bambino fatica a suonare a tempo regolare quattro note in una battuta, non è sufficiente il coordinamento motorio delle mani. Il rapporto tra il ritmo, il tempo e il movimento ha radici più profonde. Questo punto di vista non solo facilita l’apprendimento, ma permette di trasformare una lezione di strumento in un’esperienza significativa per il proprio mondo psico-fisico.
Questi temi sono ancora più importanti se l’insegnamento di uno strumento è indirizzato a persone portatrici di handicap psichici o fisici, dove lo sviluppo di una didattica e di un percorso tecnico non può per sua natura essere tradizionale, precostituito o predefinito. I limiti della persona diventano stimoli a trovare modalità differenti di apprendimento e di approccio allo strumento.
Altrimenti, che si tratti di persone normo-dotate o portatrici di handicap, c’è il rischio che l’esperienza didattica con la musica si riveli piena di frustrazioni e amplifichi le proprie personali insicurezze. Perché suonare uno strumento è difficile, è impegnativo e richiede una motivazione molto alta. Ma può rivelarsi anche tremendamente divertente, da subito.

E arrivo all’incontro. Ho avuto il piacere, recentemente, di conoscere un uomo, ormai quasi sessantenne, con una sua storia, una sua parabola di vita, una sua idea del mondo e dell’esistenza, che mi ha portato le sue emozioni e, certamente, le sue frustrazioni a piene mani.
Di tutti i problemi in cui un uomo di quella età, con quella esperienza, può ritrovarsi invischiato, lui ha “deciso” dovesse essere il suo rapporto con la musica e con il suonare il pianoforte. In anni e anni di “lotta” col suono, ha maturato un timore profondo verso lo strumento e verso la propria musicalità. Ho osservato, suona come se i tasti scottassero. Ha una discreta tecnica di base, sviluppata in percorsi multiformi e grazie a una grande tenacia, ma raramente riesce a provare una sana, piena soddisfazione nel suonare. Eppure ci torna, a testa bassa, perché per lui suonare è diventata una questione esistenziale.
La vicenda personale, probabilmente, ha molte sfaccettature e potrebbe trovare una soluzione con un percorso che gli permetta di rinnovare, di re-inventare il suo rapporto con il suono, attraverso un approccio più immediato, passionale, aperto, consapevole e fisico, con l’uso di esperienze di dialogo sonoro e di improvvisazione che smontino le sue idee circa ciò che è bello e accettabile in musica, ciò che è inadeguato e non all’altezza, iniziando da un’immersione sonora con il massaggio al pianoforte.
Ma al di là della vicenda personale, l’incontro mi ha permesso di focalizzare alcune idee, che elenco una dopo l’altra, senza ulteriore approfondimento e distanziandole l’una dall’altra, per dare spazio e fiato:

non può esistere una didattica strumentale immutabile a prescindere da chi vuole imparare;

il suono conserva, anche dopo anni di esperienze, un’ombra misteriosa, che può diventare davvero spaventosa;

dietro a quest’ombra, dentro a essa, si nascondono anche tutte le risorse per affrontare e risolvere quelle stesse paure;

nei percorsi di crescita, quali essi siano, la competizione, prima con se stessi, poi con gli altri, è sempre presente, al punto da generare conflitto personale e autentico sconforto;

in ambito musicale, i modelli di riferimento che si costruiscono e definiscono nel tempo sono fortissimi e molto condizionanti, e sono il segno di un clima culturale ancora oggi terribilmente competitivo e, in definitiva, aggressivo (il film di Michael Haneke, La Pianista, ne è una buona esemplificazione estrema e patologica);

la musica non è un sapere astratto e la tecnica non è il cuore della musica. Il cuore della musica è il suono.



Potete contattarmi per informazioni sull’insegnamento del pianoforte o per percorsi propedeutici all’apprendimento musicale.

Nessun commento:

Tutti i testi di questo blog sono (c) di Guglielmo Nigro, salvo dove diversamente indicato. Puoi diffonderli a tuo piacere ma ti chiedo di indicare sempre la fonte e/o l'autore.