sabato 14 marzo 2009

17 riflessioni sulla musicoterapia, 9 - 12



Proseguo con le riflessioni 9-12 sulla musicoterapia ispirate dalla lettura dei 17 principi sviluppati da ReggioChildren. Per le premesse potete leggere qui.
Qui trovate invece le riflessioni 1-4.
Qui le riflessioni 5-8.


Nove
Comunicare con il mondo con tutte le potenzialità

In cerchio, ogni persona con uno strumento sconosciuto o mai frequentato in mano, in attesa di rompere il silenzio attraverso una stratificazione sonora basata sull’improvvisazione, al centro dello spazio fisico e mentale il desiderio e l’apprensione per l’imminente performance musicale.
In quei brevi istanti che precedono l’avvio di un dialogo sonoro di gruppo si avverte l’energia di chi è in procinto di aprirsi a un’esperienza inedita di relazione con gli altri e con il mondo.
Al termine del percorso di improvvisazione, grazie all’aiuto del musicoterapeuta e alle verbalizzazioni, i partecipanti si sorprendono a riconoscere quante e quali scoperte su di sé questa semplice attività ha avviato. Scoperte che hanno molto spesso a che fare con le proprie strategie relazionali e il proprio modo di interagire con gli altri e con il mondo.
L’attenzione per la comunicazione non verbale e para-verbale, escludendo la comunicazione verbale nella quale ci siamo così abilmente esercitati per tanti anni, ha la funzione principale di dare forma e suono all’intelligenza emotiva e a una maggiore spontaneità.
È importante sottolineare che anche gli eventuali blocchi di tale spontaneità, dovuti alla timidezza, all’imbarazzo, al senso di inadeguatezza o di non essere all’altezza, manifestano un contenuto emotivo importante che è utile riconoscere e accogliere come una parte vitale di sé. L’abilità verbale, che a volte sostiene una sterilità comunicativa, maschera con efficacia una profonda incapacità di contatto autentico e profondo con l’altro e con il mondo.
Le relazioni e l’espressività musicale che si concretizzano in un percorso di dialogo sonoro sono un’efficacissima metafora delle strategie e modalità che mettiamo in atto ogni volta che entriamo in relazione con il mondo esterno. E diventano un mezzo efficace per collegare il mondo esterno con il proprio mondo interiore.
Lavorare sull’improvvisazione e l’ascolto attivo della musica attraverso un approccio sinestetico e multisensoriale permette inoltre una partecipazione più profonda e completa alle relazioni del quotidiano. In particolare per due ragioni: perché sostiene e alimenta uno stile creativo, aperto e meno rigido alle relazioni; perché sviluppa l’abitudine all’ascolto di sé e degli altri.
Esercitare l’ascolto per comunicare con il mondo con tutte le potenzialità è essenziale soprattutto in una società e in contesti caratterizzati da un costante e assordante rumore di fondo, costituito dai continui bombardamenti sensoriali che provengono dai mezzi di comunicazione e dall’eccesso di informazioni e di stimoli volatili, superficiali, disturbanti.
Ascoltare vuole innanzi tutto dire sviluppare la capacità di selezionare gli stimoli rilevanti, di migliorare la concentrazione e l’attenzione per poter meglio calibrare la propria risposta, la propria comunicazione in un modo che sia funzionale, non distonico, rilevante. Il rischio, al contrario, è che i nostri tentativi comunicativi diventino essi stessi parte del rumore di fondo.
È per queste ragioni che imparare ad ascoltare diventa al contempo capacità di farsi ascoltare. La sordità esistenziale è il primo elemento comune a tutti gli stati di disagio e di malattia.

Dieci
Sostenere il bisogno di libertà

Sviluppare percorsi di musicoterapia pone molto spesso la domanda su quale dimensione personale si dà al concetto di libertà. Intendo la libertà come quell’insieme di possibilità e di limiti che ogni persona si auto-determina a partire dalla proprie esperienze di vita. L’interiorizzazione di regole, di giudizi su sé e il mondo, di vincoli e di convinzioni circa il possibile e l’inammissibile è quello che determina chi siamo e la flessibilità del nostro agire e del nostro sentire.
L’improvvisazione musicale e l’espressività motoria del corpo mettono in scena in modo chiaro tali caratteristiche personali, al punto da manifestare i paradigmi secondo i quali definiamo i nostri percorsi di azione quotidiana. Con la musicoterapia succede spesso di ritrovarsi a chiedere perchè un determinato comportamento non fosse possibile, ammissibile, perfino concepibile.
Il primo e più importante ambito di intervento è quello della libertà espressiva. L’educazione e i condizionamenti di anni di vita ci portano spesso a ridurre in modo drastico le nostre possibilità espressive, con la scusa che non sono socialmente accettabili o permesse ma con al fondo una realtà ben più importante: la paura al limite dell’angoscia di lasciarsi andare ad emozioni incontenibili e ingestibili. È importante sottolineare che tali emozioni non sono sempre di contenuto “negativo” (rabbia, aggressività, tristezza, …), tutt’altro. Siamo spaventati dall’intensità della nostra sfera emotiva piuttosto che dalla qualità del suo contenuto. Ci riscopriamo incapaci di manifestare in modo aperto anche gioia, coinvolgimento, passione.
Per sviluppare consapevolezza su questi vincoli e ampliare la propria idea di libertà personale (e sociale) in musicoterapia abbiamo la risorsa del corpo. Lavorare sul e col corpo funzionale permette di ritrovare e mobilitare l’energia associata alle diverse emozioni, rivelando le molteplici possibilità e il senso di benessere che un percorso di questo tipo permette.
Non va dimenticato che un percorso di cura presuppone la disponibilità al cambiamento, alla novità e che si caratterizza, quindi, come un vero e proprio cammino di libertà e di emancipazione dai condizionamenti, a volte patologici, dai limiti auto-imposti e dagli automatismi inconsapevoli che governano le nostre scelte e il nostro stile di vita.

Undici
Rispettare i tempi individuali. Non accelerare. Dare tempo e spazio per la sperimentazione e l’apprendimento

Nei percorsi di cura gli specialisti e i terapeuti cadono spesso nel tranello di assecondare l’incalzante esigenza dell’utente di avere risposte rapide alle proprie difficoltà, alle proprie richieste di aiuto.
Agire interventi immediati ha il rischio di mettere in atto automatismi che poco hanno a che fare con i bisogni reali della persona che si ha di fronte, banalizzando il senso di un percorso di cura realmente efficace. È l’ambito dell’intervento medico sul sintomo, che presuppone una gamma pressoché infinita di rimedi specifici per specifici sintomi.
La musica ci insegna al contrario l’importanza delle pause, delle attese e del lasciare spazio e tempo alla relazione con l’utente, in modo che, superate le richieste sintomatiche, si possano comprendere e ascoltare i bisogni che vi stanno dietro.
L’utente e il musicoterapeuta condividono, secondo dinamiche diverse ma complementari, l’ansia del dover fare, che risponde alla sottile e pervasiva necessità di sentirsi all’altezza della situazione. Per l’utente vuol dire riuscire ad assecondare le richieste del terapeuta; per il terapeuta vuol dire mostrarsi capaci, preparati a qualsiasi problema ci porti l’utente. Essere competenti, quando si è guidati da tale ansia, presuppone la finzione, un’aderenza formale e non sostanziale alle scelte e alle decisioni che prendono forma nel percorso di cura.
Spetta al terapeuta svelare tale meccanismo in sé stesso e negli altri. E il modo migliore perché ciò avvenga è quello di creare spazi aperti di sospensione dell’azione terapeutica ed esercitare il silenzio come modo privilegiato per sviluppare l’ascolto profondo.
La musica nasce da e torna al silenzio.
Attraverso il rispecchiamento, poi, è possibile avvicinarsi profondamente all’altro e valorizzare i suoi tempi di comprensione e di crescita. Che vuol dire, innanzitutto, riconoscere l’altro per quello che è con le sue risorse e non come una persona sbagliata da cambiare radicalmente.
Non accelerare, rispettare i tempi presuppone anche la possibilità, per il musicoterapeuta, di lasciare al paziente la guida, in alcune fasi, per offrirgli, in un contesto protetto, la responsabilità di scegliere come muoversi, la possibilità di sbagliare ma anche l’opportunità scoprirsi più abili, competenti e forti di quello che si crede.
Attraverso esperienze musicali condivise, individuali o di gruppo, si favorisce inoltre la possibilità di sperimentare diverse velocità, attraverso la sintonizzazione con l’altro. E si dà spazio anche a importanti ritorni e passi indietro, che permettono una rielaborazione del proprio vissuto e il recupero delle energie necessarie a un nuovo salto in avanti.
Quello che più spaventa i terapeuti sono le fasi nel percorso di cura in cui sembra non avvenire nulla. Tali possibili sospensioni o blocchi non sono necessariamente empasse che segnano una inadeguatezza o l’inefficacia del percorso. Molto spesso possono essere pause significative durante le quali sta succedendo qualcosa di meno evidente. Il paziente può infatti incontrare queste fasi nel momento in cui si manifesta con forza una particolare resistenza al cambiamento, una difesa radicata e inadeguata, o quando gli è richiesta un’elaborazione più faticosa, o ancora quando è impegnato nella ricerca di energie per affrontare i passi successivi. Tali momenti vanno quindi sostenuti, valorizzati e riconosciuti piuttosto che negati per il timore della propria incapacità o di non essere all’altezza.

Dodici
Riscoprire che l’utopia, il sogno e il desiderio sono parte della normalità quotidiana

Il primo compito del musicoterapeuta è dare sostegno alla speranza di cambiamento del paziente, restituire il senso di una direzione di crescita nel vivere quotidiano.
L’accento al quotidiano è importante. Si deve smascherare e non alimentare l’attesa del paziente per una guarigione magica, immediata e determinata dall’altro. Si deve sottolineare che ogni percorso di cambiamento presuppone in primo luogo un impegno costante, determinato e fondante da parte del paziente nella quotidianità. Il protagonista è lui. In questo senso, l’utopia che è necessario sostenere non è quella della magica risoluzione di ogni problema, ma piuttosto quella che permette di immaginare per sé e per il proprio contesto di vita altri possibili mondi. Vedersi diversi non negando quello che si è in ottica di un’ideale di sé che non esiste, ma in funzione di uno sviluppo armonico delle proprie reali possibilità e del potenziale che ognuno ha.
La musica, con le sue immagini inafferrabili e con il suo contenuto benefico che deriva dalle vibrazioni del suono e dall’espressività, è concretizzazione dell’utopia e manifestazione del sogno.
Può favorire una creativa rielaborazione della realtà e sostenere la messa in discussione e la ridefinizione dei paradigmi che sostanziano chi siamo e il nostro senso di libertà. Può permettere alle persone di riconoscersi attori del cambiamento e, a loro volta, generatori di speranza e di utopia.

domenica 1 marzo 2009

Rituale vocale 3 - Varianti meditazione Nataraj

Ne Il Libro Arancione di Osho (ed. Mediterranee) sono raccolte diverse pratiche di meditazione.

Immagine di Il libro arancione

Una di esse di chiama meditazione Nataraj.
Prendo spunto da essa per descrivere due varianti che formano un semplice ma efficace rituale vocale.

Variante 1

1. Ad occhi chiusi, danzare senza musica liberamente per 20 minuti. Lasciarsi possedere dal movimento e dal proprio ritmo personale.

2. Continuare a danzare aggiungendo un canto libero e improvvisato. Lasciare che fluisca spontaneamente. Proseguire per altri 20 minuti.

3. Stendersi a terra, in posizione distesa e comoda. Rimanere immobili e in contatto con il respiro per 20 minuti.

4. Alzarsi, scegliere un breve brano di musica di massimo 5 minuti, danzare e cantare dolcemente per tutta la durata del brano.


Variante 2

1. Ad occhi chiusi, danzare senza musica liberamente per 20 minuti. Lasciarsi possedere dal movimento e dal proprio ritmo personale.

3. Stendersi a terra, in posizione distesa e comoda. Rimanere immobili e in contatto con il respiro per 20 minuti.

2. Ancora ad occhi chiusi, rialzarsi e ricominciare a danzare aggiungendo un canto libero e improvvisato. Lasciare che fluisca spontaneamente. Proseguire per 20 minuti.

4. Al termine della danza, rimanere immobili in piedi per almeno 5 minuti, in ascolto.

Rituale vocale 2, per il radicamento - 60 minuti

Descrivo un nuovo rituale vocale, più completo e di durata maggiore rispetto al primo che potete trovare qui.
Sottolineo che ogni rituale vocale che descrivo viene utilizzato da me personalmente nella mia pratica quotidiana e nei percorsi di cura con le persone.

Questo rituale ha durata complessiva minima di 60 minuti. Il mio consiglio è di ampliarlo quanto se ne ha voglia.
Ricordo che è importantissimo, tra un esercizio e l’altro, prendersi sempre una pausa di passaggio nella quale ritornare alla respirazione naturale e ascoltare la risonanza nel corpo che hanno lasciato il suono e la posizione.
Tutti gli esercizi possono essere fatti con gli occhi chiusi o leggermente aperti e la vista sfocata, per facilitare l’ascolto profondo e la consapevolezza.

Fasi:
1. In piedi, gambe leggermente divaricate, occhi chiusi, si entra in contatto con il respiro e le proprie tensioni. Mentalmente "lascio andare". Si possono contare i respiri da 1 a 10.

2. In piedi, con l’inspirazione si sollevano le braccia fino all’altezza del viso con le palme verso l’alto. Il viso guarda verso il cielo. Si emette il suono “ssss” (come nella parola “suono” e non “scivolo”) per tutta la durata dell’espirazione. Il suono deve essere leggero, gentile, appena sussurrato. Al termine dell’espirazione si riabbassano le braccia. Ripetere almeno 6 volte.

3. In piedi, posizione del bastone (gambe unite e tese, braccia alzate sopra la testa, mani unite, testa naturalmente ripiegata verso il petto, bacino portato leggermente in avanti), per tutta la durata dell’espirazione vocalizzare una prolungata “iiii”. Inspirare senza perdere la posizione e ripetere il suono per 3 volte. Ogni suono deve avere un'intonazione superiore al precedente. Per cui il primo suono sarà basso, il secondo medio, il terzo acuto. Il suono deve essere ben sostenuto, tonico e non sottovoce. Tenere gola e lingua rilassata.
Lasciar ricadere le braccia, sollevare le spalle durante l’inspirazione e lasciar ricadere con l’espirazione. Mentalmente “lascio andare”.
Ripetere la posizione del bastone con i tre vocalizzi almeno una seconda volta.

4. In piedi, posizione bioenergetica dell’arco (vedi immagine): piedi divaricati come la misura delle spalle, diritti e paralleli tra loro; appoggiare le mani chiuse a pugno ma morbide all'altezza dei reni; inspirando flettere dolcemente il busto all'indietro formando una linea curva continua e morbida dal collo al coccige. Vocalizzare “aaaeee” per tutta la durata dell’espirazione. Ripetere almeno 6 volte. Il passaggio da una vocale all'altra deve avvenire con la massima attenzione e lentezza. La "a" si trasforma in "e" quasi inavvertitamente. Soffermarsi proprio sul momento di passaggio da una vocale all'altra.

5. In posizione eretta, divaricare i piedi come la misura del proprio bacino, tenendoli diritti e paralleli tra loro. Inspirando, sollevare in avanti le braccia all'altezza delle spalle, espirando flettere lievemente le ginocchia e i gomiti. I polsi si lasciano ricadere morbidi. Il corpo mantiene una linea retta dalla nuca al coccige. Vocalizzare “oooaaa” per tutta la durata dell’espirazione. Ripetere almeno 6 volte. Il passaggio da una vocale all'altra deve avvenire con la massima attenzione e lentezza. La "o" si trasforma in "a" quasi inavvertitamente. Soffermarsi proprio sul momento del passaggio da una vocale all'altra.

6. In posizione eretta, divaricare i piedi come la misura del proprio bacino, tenendoli diritti e paralleli tra loro. Molleggiare sul posto in linea verticale, dolcemente, in modo sciolto, con ritmo regolare piuttosto sostenuto, lasciando libere spalle, collo e braccia. Il movimento parte dalle gambe, che si flettono leggermente e tornano ad allungarsi ma senza mai stendersi completamente. Prima in silenzio, poi vocalizzando un secco "la" ogni volta che si scende, senza sforzare. Proseguire per almeno 5 minuti.

7. Piegati, mani a terra, ginocchia leggermente piegate (vedere immagine). Quando il corpo si abitua alla posizione e al fluire del sangue alla testa, si inizia a vocalizzare un lungo "ohm" per la durata dell'espirazione. Si può decidere di utilizzare al posto del solo "ohm" il mantra completo "ohm ha uhm". Ripetere per almeno 6 volte.


8. Seduti su un cuscino o su una sedia, in posizione comoda e rilassata, con la schiena naturalmente diritta. Quando il respiro ritorna normale, iniziare a vocalizzare per tutta la durata dell'espirazione, utilizzando ancora l’ “ohm” o una vocale a scelta, rimanendo fermi sulla stessa nota. Proseguire per almeno 10 minuti.

9. Seduti su un cuscino o su una sedia, in silenzio, si torna a contatto con il respiro e si ascolta la risonanza nel corpo e nella mente di tutto il percorso. Restare in ascolto per almeno 10 minuti.

10. Distesi, ci si riattiva, ci si stira e si torna al contatto con il mondo che ci circonda.


Non realizzare il rituale in modo meccanico. Dedicare il tempo che merita. Se non si ha il tempo per realizzare tutto il rituale si può fare il rituale breve, oppure scegliere solo alcuni degli esercizi descritti, senza mai escludere 7-8-9.
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