giovedì 26 febbraio 2009

Senza quaderno - Laboratorio musicale con bambini


Sto realizzando un percorso di musicoterapia presso una scuola elementare della provincia di Milano. Al momento abbiamo coinvolto cinque classi, tra prime e terze. Lavoro con ognuna di esse singolarmente per circa un’ora.
In un giorno di lavoro ho la possibilità di incontrare circa duecento bambini, con i loro corpi ancora così espressivi, così in movimento e in evoluzione. A questa età più che ad altre si notano le moltissime differenze tra l’uno e l’altro, sia sul piano delle abilità funzionali del corpo che sul piano cognitivo che sulla capacità di entrare in contatto con le proprie emozioni e la propria espressività.
Per le insegnanti, il duro lavoro è trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza del silenzio, dell’ascolto e dello stare seduti in classe e le vitali espressioni ancora infantili dei bimbi, che sentono il bisogno di muoversi, di inventare, di giocare e faticano ad accettare il brusco passaggio dalla felice esperienza della scuola dell’infanzia, dove l’apprendimento è ancora veicolato principalmente attraverso il corpo e il gioco.
La fatica delle insegnanti si legge spesso nella loro eccessiva attenzione all’ordine e al silenzio, quasi a non voler far apparire eventuali debolezze del proprio metodo educativo, tanto da spegnere sul nascere qualunque manifestazione spontanea dei bambini di fronte alla sorpresa del suono del tamburo, alla felice e voluta confusione di un ballo di gruppo e così via.
Prima di avviare qualunque lavoro in un contesto scolastico è quindi fondamentale chiarire agli insegnanti che gli obiettivi del lavoro di musicoterapia sono diversi dalle lezioni in classe. Così come trovo sia fondamentale sottolineare questa stessa differenza ai bambini. Da un lato per chiarire che nel contesto della musicoterapia, pur con il rispetto di alcune regole, l’espressività e lo stupore sono ammesse e, anzi, sollecitate. Dall’altro per ricordare che il rientro nella casse prevede il ritorno alle regole degli insegnanti.
Chiarire gli ambiti e i contesti, insomma, è utile agli insegnanti e ai bambini. E prima ancora al musicoterapeuta, che altrimenti rischia o di essere ingabbiato in un meccanismo che non gli appartiene o di essere vissuto dalla scuola come un corpo estraneo fastidioso e provocatorio.

Durante l’ultimo incontro, con tre delle cinque classi (due terze e una prima), ognuna separatamente, ho sviluppato un lavoro di improvvisazione sonora che ha progressivamente coinvolto contemporaneamente tutti i bambini della classe. A un certo punto, intorno a un cerchio immaginario all’interno del quale due bimbi erano impegnati in un dialogo sonoro agli djembè con la richiesta di suonare piano, gli altri bambini si sono raccolti in piedi o seduti, ognuno con una piccola percussione, a partecipare e collaborare all’improvvisazione. Il tutto è avvenuto progressivamente e gradualmente e con loro grande sorpresa, non avendo spiegato anzitempo cosa avremmo fatto. L’attesa di ricevere una percussione e ritrovarsi immischiati in quell’esperienza è stata eccitante per ognuno e li ha portati a un’attenzione spiccata per l’ascolto e l’osservazione di quanto andava succedendo. Avere venti bambini impegnati per più di trenta minuti (contando tutte le fasi di preparazione e di chiusura del percorso) in un lavoro comune senza distrazioni, incalzati a essere lì, in quel preciso momento, collaborando per la realizzazione di una musica nuova e inattesa è stata una grande gioia.
Ho percepito un chiaro senso di partecipazione e di armonia. E mi sono riscoperto un privilegiato. Non credo possano esistere molti lavori più belli e coinvolgenti.

Al termine dell’esperienza, abbiamo parlato un poco, per condividere alcune emozioni rispetto all’esperienza. Ho infine chiesto di disegnare qualcosa che ricordasse loro l’esperienza e di scrivere una frase che riassumesse quanto successo. Conservo i fogli gelosamente.

Prima di salutarci, un gruppo di bambini mi ha chiesto con insistenza, la prossima volta portiamo il quaderno? No, il quaderno qui non ci serve. Ma davvero, niente quaderno? Niente quaderno.
I loro occhi ridevano.
Non c’è nulla di male nell’usare un quaderno in un laboratorio di musicoterapia. Eppure, era così chiaro il valore simbolico del non avere il quaderno che ho deciso che, come in questa occasione così nelle prossime, se servirà useremo dei fogli volanti.

Nessun commento:

Tutti i testi di questo blog sono (c) di Guglielmo Nigro, salvo dove diversamente indicato. Puoi diffonderli a tuo piacere ma ti chiedo di indicare sempre la fonte e/o l'autore.