lunedì 29 settembre 2008

Musica, corpo, mente


Mente e corpo
Non è raro pensare a se stessi divisi in parti funzionali e simboliche.
Nelle mie numerose e disordinate letture sulla psicologia e sulla medicina tradizionale ho più volte constatato la facilità con la quale si conduce un processo di pensiero analitico e riduzionistico, ben rappresentato dalla metafora del microscopio, senza che ad esso segua un processo di pensiero sintetico. Il corpo e la mente sono innanzitutto reificati come entità separate, spesso in contrapposizione e, in secondo luogo, essi stessi vengono a loro volta spezzati, scomposti, ridotti a minimi elementi separati, in alcuni casi vagamente collegati.
William Gibson in un racconto di molti anni fa, a proposito di una rosa olografica, ricorda come ogni singolo frammento dell'ologramma spezzato riproduca l’immagine intera della rosa. E conclude sottolineando che siamo tutti parte l’uno dell’altro.
Se ciò è vero a livello intersoggettivo, a maggior ragione lo è a livello individuale. È utile infatti pensare alla mente come a un soggetto separato, con sue proprie caratteristiche funzionali, ma è inutile se a ciò non segue il processo inverso, che metta in relazione la mente con ciò che le permette di esistere e vivere, ovvero il corpo. E viceversa.

L’uovo e la gallina
Mi capita sempre più spesso, in percorsi terapeutici con l’uso della musica, di ragionare con i miei pazienti a proposito delle origini di alcuni disturbi fisici, alla ricerca di una causa chiara ed evidente. Si ricercano traumi fisici pregressi, caratteristiche innate, familiarità e disturbi progressivi. Con il mio aiuto, si cerca di metterli in relazione con il modo unico e personale di pensare, di vivere le emozioni e le relazioni, di trovare una congiunzione con le proprie convinzioni sul mondo e la vita, sulle proprie strategie regolarmente agite di fronte a situazione precodificate, di sofferenza, di attacco, di difesa, di amore. Ecco che improvvisamente, come nell’osservazione attenta della rosa olografica di cui sopra, si scopre che non esiste LA causa. Ci si sorprendere nel dare sempre meno peso a una teoria che giustifichi il nostro modo di essere in funzione dei nostri disturbi psicosomatici. Si comprende in modo più profondo del semplice capire, che quella causa, quel primo immobile, non ha importanza. Quando si raggiunge questa consapevolezza intima e innegabile può avere davvero inizio il processo di cura.

Questo processo è molto facile da comprendere nella pratica, ma richiede una forte disponibilità ad aprirsi all’ascolto autentico di se stessi e alla remissione di non poche difese. Richiede la disponibilità ad abbandonare, anche per poco tempo, e via via per periodi più lunghi, la propria armatura psico-fisica, in modo da lasciar spazio all’ascolto di sensazioni più immediate e meno stratificate, che parlino non alle nostre razionalizzazioni ma a una parte più intima e sensibile del nostro essere. La musica è uno degli strumenti più efficaci che conosca per favorire tale percorso di autentica riscoperta. Proverò a spiegare come accade raccontando un esempio recentemente avvenuto in terapia. È il racconto di un’esperienza semplice, banale quanto esemplare, a mio avviso.

Seduti comodamente
Da quasi sei mesi lavoro con Laura (un nome di fantasia) a un percorso di musicoterapia che l’aiuti a ridurre diversi dolori psicosomatici che affliggono in particolare la parte destra del suo corpo, dalla testa alle gambe, e che più volte in un anno si riunificano e si sfogano in fortissime emicranie con aura. Il disturbo è tanto tremendo quanto comune, purtroppo. Le emicranie con aura generano autentico terrore in chi le vive. Terrore quando si manifestano, a causa del dolore e della sensazione di perdere completamente il controllo sul corpo e sulla mente; terrore tra un episodio e l’altro per l’ansia che torni a manifestarsi. Senza entrare troppo nel dettaglio, dirò che con Laura si arriva piuttosto velocemente alla condivisione che sarebbe utile avviare un percorso di cura con l’uso della voce, per esplorare e trasformare il suo equilibrio psico-fisico, lavorando da un lato sull’immaginazione creativa dell’improvvisazione vocale, e dall’altro sul respiro e la gestalt emotivo-funzionale della sua persona. Sul potere trasformativo della voce, sulla sua efficacia come rappresentazione simbolica della nostra vita, mi riservo di tornare in un’altra occasione. Quello su cui vorrei soffermarmi in questa riflessione è un aspetto molto più semplice, come dicevo, e riguarda la scelta della posizione più comoda per cantare da seduti.
Sembrerà assurdo, ma se a più persone si chiede di mettersi seduti a terra in una posizione comoda, ci sorprenderemo per il numero decisamente alto di posture che esse assumono e, ancor di più, saremo colpiti dalla constatazione che tali posture, in definitiva, sono tutt’altro che comode. La schiena non trova pace perchè in continua tensione, le braccia si aggrappano alle gambe per cercare una qualche forma di equilibrio, si utilizzano diversi cuscini nei modi più originali, e così via.
In base alla mia esperienza esistono solo due posizioni a terra che permettano di stare realmente comodi e rilassati. La prima, sconsigliata a chi ha problemi alle ginocchia e che in ogni caso richiede un certo esercizio per abituarsi, è quella di stare seduti con il fondo schiena sulle proprie caviglie. In pratica, si appoggiano a terra ginocchia e parte inferiore delle gambe e ci si appoggia sopra il sedere. La seconda è quella tradizionalmente nota come posizione del loto o, un po’ meno impegnativa, del mezzo loto. Personalmente quest’ultima è quella che trovo più adatta e che consiglio sempre in terapia. Affinché la posizione del loto funzioni, il sedere deve poggiare in punta a un cuscino duro e alto, e la parte inferiore delle gambe, piegate, deve poggiare saldamente a terra.
Tornando a Laura, prima di iniziare a cantare, le chiedo quindi di mettersi seduta a terra in posizione comoda. Assume la sua posizione e noto che ha lo stomaco compresso, la schiena in tensione, le braccia a fare leva con le gambe incrociate, il collo come spezzato in due. Non solo, la verticale della sua schiena non è perpendicolare a terra, ma leggermente piegata verso la sua sinistra. Le chiedo più volte se trova la posizione comoda e rilassante. Ogni volta mi risponde di si.
A quel punto, senza insistere oltre, iniziamo a cantare.

Il canto sboccia
Se abbiamo l’illusione che la mente sia al comando, il corpo ci inganna
. Ci manda segnali contraddittori perchè non siamo capaci di ascoltarli. Per questa ragione Laura non capisce di trovarsi seduta in una posizione scomoda e faticosa. Per la stessa ragione, nella sua quotidianità, Laura fatica a comprendere che i dolori del suo corpo sono messaggi chiari e decisi che le chiedono un cambiamento complessivo.
Per favorire un avvicinamento a questa comprensione, chiedo a Laura di cantare con me iniziando da un unisono. Le chiedo di produrre un vocalizzo continuo della durata dell’espirazione che si ripete a ogni respiro, senza forzare, cercando di portare l’attenzione alla qualità del suono emesso. Dopo alcuni minuti, al suono di una campanella, potrà iniziare a muovere il suono, improvvisando liberamente, senza altre indicazioni se non quella di seguire il gusto per l’esplorazione e la piacevolezza dell’esperienza.
Come avrò modo di spiegare in un altra occasione in modo più approfondito, un percorso vocale come questo nasconde almeno due fasi significative al suo interno: la prima è quella dell’ascolto del respiro; la seconda è quella dell’ascolto del suono.
In un primo momento Laura canta pensando a come respira. Avverte la fatica, le tensioni addominali, il diaframma rigido, bloccato, una sensazione di leggerezza alla testa dovuta all’iperventilazione e, rivelazione, la consapevolezza di essere seduta in una posizione inadeguata. Il corpo inizia così a muoversi alla ricerca di una posizione più adatta. Questa fase, guidata principalmente dal controllo cosciente, può essere più o meno lunga e più o meno faticosa a seconda dell’esperienza della persona e del grado di tensione e di ansia che la caratterizza. In alcuni casi, l’intera esperienza vocale può cristallizzarsi qui e si rimane in questo stato fino alla conclusione del canto.
Nella maggior parte dei casi, il piacere del canto, la bellezza del suono, la capacità che ha la voce di unire corpo e mente, di guidare verso un’autentica esperienza musicale, conduce alla fase due: l’ascolto del suono.
Quando parlo di ascolto, raramente mi riferisco al solo ascolto attraverso le orecchie. Molto più spesso mi riferisco a un ascolto profondo. Quando il controllo razionale recede un poco, la ripetizione dell’atto di suonare viene assimilata e diventa più spontanea, ecco che a dominare è l’attenzione alla qualità della voce. A Laura accade proprio questo.
In particolare dopo il suono della campanella, la voce di Laura sboccia in suoni colorati e spontanei, meno sofferti, più espressivi e vivi. Il piacere dell’esperienza prende il sopravvento. Il gusto dell’esplorazione trova spazio e si concretizza. La ragione lascia parzialmente il controllo. Il corpo e la mente si armonizzano per dar vita, insieme, a un’esperienza emotivamente significativa.
Al termine dell’esperienza, è questa sensazione di piacere che rimane sulla pelle e tra gli occhi. Ed è proprio la sua consistenza che genera nel praticante la voglia di proseguire a cantare.

Sedersi nuovamente
L’esperienza del canto, con Laura, assume quindi molteplici significati, alcuni potenzialmente trasformativi, che potranno essere l’humus dal quale coltivare le successive esperienze di cura.
E la postura? E lo stare seduti comodamente?
L’incontro di musicoterapia termina senza che io ritorni sulla questione. In quel momento è più importante rimanere sull’esperienza vocale e le sue vibrazioni.
All’inizio della seduta successiva, faccio però a Laura la stessa richiesta delle precedente: siediti comodamente per terra, in modo che tu sia rilassata. Ed ecco che, sorprendentemente, Laura non vuole rimettersi nella posizione del precedente incontro. Non la trova più comoda o adeguata.
L’esperienza del canto, nell’avvicinamento non mediato di corpo e mente, ha generato un riconoscimento, un vero e proprio incontro, attraverso l'ascolto delle sensazioni del corpo, troppo spesso negato. Da qui si sviluppano due nuove consapevolezze di sé: che anche Laura, se guidata nel giusto modo, è in grado di sentirsi; che solo un ascolto intimo e profondo le permette di viversi nella fusione funzionale di corpo e mente. Quest’ultima rivelazione, che nasce da un pretesto banale come quello dello stare seduti comodamente, è la premessa essenziale per avviare un autentico percorso di cura e di trasformazione.

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